L'Italia Mensile

La colpa per quello che si è

Claudia Placanica
Ancora Italia

Nelle nostre democrazie autoritarie, i media sono incaricati di lanciare l’allarme presso i cittadini ancora non indottrinati o non abbastanza convinti dell’esistenza di alcuni fenomeni.

Le emergenze sono lo strumento con cui introdurre più velocemente esperimenti di ingegneria sociale e con cui approvare misure legislative che permangono anche ad emergenza superata.

Alcune settimane fa i cori delle prefiche hanno innescato la lotta al patriarcato e al femminicidio. Dileguatisi i cori con l’irruzione nei media della frode del panettone Balocco, patriarcato e femminicidio sono ritornati nel discorso di fine d’anno del presidente della Repubblica, mentre apprendiamo che il padre della ragazza uccisa si affida a un’agenzia di comunicazione per diffondere nel Paese la cultura della non violenza e del rispetto delle donne.

Alla luce di quanto accaduto nel recente passato, siamo autorizzati a ipotizzare che l’allarme mediatico possa servire per legiferare, non solo sul “femminicidio”, ma per reprimere con iniziative legislative quel che resta del dissenso.

Non stiamo parlando a caso.

Nel 2013, nella legge contro la violenza di genere del 15 ottobre 2013, n.119 furono aggiunti elementi funzionali alla repressione del movimento No-TAV.
Si tratta della conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 14 agosto 2013, numero 93, recante “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province”.

Cosa c’entrano la “protezione civile e il commissariamento delle province” con il femminicidio?

La tecnica è sempre la stessa: creare un’emergenza, offrire la soluzione, integrando il provvedimento legislativo ritenuto giusto con norme atte a militarizzare il territorio, ad autorizzare l’uso dell’esercito, a criminalizzare le lotte sociali.

Nella finta contrapposizione contro la destra, il PD, grazie alla saturazione di tutti gli spazi possibili (magistratura inclusa), si fa artefice di provvedimenti che portano avanti un chiaro progetto neoliberista di controllo e indottrinamento della società, repressivo verso qualsiasi forma di dissenso.

Infatti, mentre è lecito che le femministe di “Non una di meno” manifestino contro la “brutale violenza” degli uomini – come ha detto sempre Mattarella nel suo lungo discorso – assaltando la sede di Pro vita; ai manifestanti contro il green pass non è riconosciuto il medesimo diritto. Neanche quello all’ascolto, diritto menzionato sempre da Mattarella.

Il consueto doppio standard è qui incarnato dalle massime istituzioni, la cui dissonanza cognitiva è tale per cui si invita alla pace mentre si inviano armi. Il governo e le istituzioni sono “inclusivi” nei confronti dei produttori di armi, ma sono refrattari alle commissioni d’inchiesta.

L’importante è spegnere qualsiasi tentativo di opposizione, quella che potrebbe destabilizzare il progetto totalitario basato sui dogmi della cultura woke, i fondamenti della “nuova intolleranza”.

É quindi necessario impedire ogni forma di dissenso in modo che l’opinione pubblica percepisca tali espressioni come riconducibili a strati incolti e fanatici della società.
La protesta contro il leviatano sanitario, contro l’obbligatorietà di trattamenti farmacologici e contro il green pass ha minacciato lo status quo. Il governo, le istituzioni, i media e la pletora di intellettuali, giornalisti, influencer e artistucoli: ciascuno ha fatto la sua parte per screditare e ghettizzare milioni di cittadini.

Proprio negli ultimi giorni abbiamo appreso della condanna esemplare di alcuni protagonisti delle proteste di quei mesi di duro autoritarismo da parte di un governo tecnico. Il paradigma di resistenza anche fisica, rispetto a quello inerme dei portuali triestini, a capo chino e con tanto di rosario sotto gli idranti di Stato, ha subito una “reductio ad Hitlerum”, una demonizzazione. Le sproporzionate condanne sono la prova del fatto che i manifestanti non fossero infiltrati come molti – anche all’interno dell’area della protesta – sostenevano.

La nostra magistratura ha condannato questi cittadini, non per quello che essi hanno commesso, ma per quello che essi sono.

È la condanna di tutto il blocco antagonista, di qualsiasi antagonismo, è l’avvertimento che non si possono mettere in discussione le istituzioni, perché questo è il migliore dei mondi possibili. É la stessa tecnica impiegata nei confronti di Julian Assange.

La società non solo deve essere controllata, ma è necessario che sia segmentata, ovvero che ciascun cittadino sia isolato per impedire che, attraverso i rapporti sociali, il territorio, i luoghi di lavoro, possa estrinsecare l’antagonismo che caratterizza le società democratiche.

Le tecnologie della smart-city, il lasciapassare chiamato Green Pass, le telecamere, la raccolta dei dati, l’identità digitale rappresentano la possibilità per il sistema di controllare in nome della sicurezza. La militarizzazione del territorio è la garanzia dell’oppressione dei cittadini, le cui vittime sono innanzitutto i cittadini impegnati politicamente e socialmente.

Nell’attuale diffusa passività del cittadino, tipica dei totalitarismi, l’attività politica e la coerente volontà di strutturarsi sono divenute sfide pericolose e inaccessibili.

Cessati i finanziamenti ai partiti, le nuove realtà politiche faticano ad accreditarsi come soggetti capaci di un progetto in assenza di risorse, spazi e strumenti per rendere visibile la propria attività. Eppure la politica e le formazioni partitiche sono riconosciute dalla Costituzione. L’articolo 49 recita che “tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”; l’articolo 18, invece, riconosce il diritto dei cittadini “di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale”. Ma, se di fatto, risulta impossibile la strutturazione di un partito e, finanche, la sua esistenza, l’astensionismo e la sfiducia verso il sistema democratico ed elettorale si diffonderanno sempre più, avvantaggiando i partiti del sistema, autentici comitati d’affari per conto dell’iper-borghesia e delle élite globaliste.

Con tanti saluti all’invito al voto e alla partecipazione auspicati dal presidente nel discorso di fine d’anno.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *