L'Italia Mensile

Ricordando La Figura E L’Insegnamento Di Un Grande Rivoluzionario Africano: Thomas Sankara

Non sono probabilmente molti a conoscere la storia e la figura di questo assoluto rivoluzionario nato nell’attuale Burkina Faso del quale divenne Presidente, eppure i suoi nemici furono gli stessi identici predecessori di quelli che stiamo combattendo oggi

di Pamela Testa

Quando in quell’ottobre di quasi 35 anni fa i telegiornali italiani riportarono la notizia dell’assassinio di Thomas Sankara, Presidente del Burkina Faso, ai più sarà sembrato l’ennesimo colpo di stato con l’ennesima fine violenta dell’ennesimo dittatore del Continente nero, eppure la figura di Sankara è stata ben altro e ben di più; una figura che per molti aspetti non è da considerarsi secondaria rispetto a quella di altri grandi rivoluzionari della storia ma che, stranamente, è caduta presto nel dimenticatoio forse perché non è mai assurta a vera fama.

Sankara ha comunque incarnato la speranza di molti diseredati (sicuramente quella dei suoi connazionali) nel liberarsi finalmente dalle metastasi mai curate del colonialismo, nonché di quelle sempre esistenti e pervasive dell’imperialismo, ovvero di quel che oggi è traslabile nelle varie forme del globalismo e dell’immane sciagura che questo attualmente rappresenta per l’Umanità.

Ecco perché oggi siamo a rimembrare la storia di quest’Uomo che pagò con la vita il suo sogno visionario di uguaglianza e di libertà, ed ecco perché la sua figura torna oggi di attualità – ma soprattutto di esempio – per tutti quanti noi.

Thomas Sankara nasce nel 1949 da una famiglia cattolica residente in una località a nord di quello che allora si chiamava Alto Volta, scegliendo presto la sua vita e che il giovane Thomas vedeva realizzata nella carriera militare, per questo a soli 19 anni decide di diventare cadetto di un’accademia del Madagascar da dove ne uscirà con una forte impronta ideologica marxista.

Rientrato in patria ed iniziando la sua scalata nei gradi di ufficiale dell’esercito Sankara si fa presto notare per la sua brillantezza di azione come di pensiero, finché qualcuno del governo non se ne accorge e gli affida la Segreteria di Stato dalla quale si dimette ben presto perché in contrasto con il regime, per poi rifiutare anche quella di Primo Ministro che voleva affidargli il Presidente Jean-Baptiste Ouédraogo, che con tale mezzo aveva tentato di tenerlo buono perché consapevole della crescente popolarità di Sankara tra le file dell’esercito.

La vera ascesa di quel che molti definiscono il “Che Guevara d’Africa” inizia però nel ad agosto 1983, quando riesce a prendere il potere rovesciando Ouédraogo ed avviando una serie di riforme mai viste prima, dando dunque corpo ad interventi concreti che in breve tempo hanno il potere di dare un’economia ma soprattutto una dignità ad uno dei Paesi più poveri al mondo, una terra che neppure i coloni francesi avevano considerato più di tanto nonostante le importanti risorse minerarie lì presenti.

Sankara dà infatti inizio alla costruzione di opere pubbliche fondamentali come gli acquedotti trovando risorse economiche in investitori esteri, ma rifiutando in ogni caso aiuti provenienti da altri canali come quelli del Fondo Monetario Internazionale. Una fermezza totale giustificata dal fatto che gli aiuti degli stranieri portano poi alla creazione di quelle schiavitù economiche che da sempre strangolano la maggioranza dei Paesi africani, innescando così obblighi ma anche contorti schemi politici e sociali assolutamente deleteri dai quali diviene poi impossibile divincolarsi.

L’evidente orgoglio patrio di Sankara trova massima espressione in due sue frasi: “chi ti dà da mangiare ti controlla”, nonché “l’unico aiuto di cui abbiamo bisogno è non avere bisogno di aiuti”; parole semplici e dirette con il quale il giovane Presidente fa leva sull’amor proprio dei suoi compatrioti, ma che mettono altresì in chiaro molte cose con chi pensava di aver a che fare con un soggetto arrivato lì per puro caso o comunque malleabile.

E così, dopo aver cambiato addirittura il nome di quella terra da Alto Volta in Burkina Faso (che nella lingua burkinabé significa “terra degli uomini integri”), la politica essenziale ma lungimirante di quell’intraprendente capitano dell’esercito comincia a dare i suoi frutti andando praticamente a raddoppiare – nel giro di soli tre anni – tutti gli indici positivi dell’economia nazionale, migliorando per tale via le condizioni generali dei suoi cittadini, specie delle donne per le quali fa emanare leggi per loro tutela fisica, economica e morale.

In un Paese dove tre colpi di stato si erano succeduti nel volgere di soli 16 anni, il decisionismo ma anche l’autoritarismo esercitato da Sankara non si può dire sia stato esattamente un esempio di democrazia, come peraltro non lo furono tutte le epurazioni decise all’interno di un’amministrazione pubblica inefficiente oltre che espressione di privilegi e nepotismi dei precedenti regimi, tuttavia è difficile contestargli che quelle non fossero scelte praticamente obbligate in una società pregna di poteri pronti a destituirti in un attimo, per questo quella di disfarsi di tutti (o quasi) i potenziali nemici fu per lui la miglior soluzione, comunque non inficiante rispetto a quanto di buono seppe in ogni caso realizzare.

Nonostante si ritenesse un convinto marxista, Sankara, vendendosi accerchiato da francesi, americani e da tutti gli altri loro sodali africani che intendevano fargli terra bruciata per la pericolosità del suo agire decisamente rivoluzionario, seppe concepire e metter in atto una reale politica autarchica valorizzando al massimo le poche risorse delle quali il Burkina Faso poteva disporre, dunque un qualcosa che l’Italia di Mussolini aveva realizzato decenni prima (ed in modalità peraltro molto simili) nonostante potesse disporre del potente alleato tedesco.

La politica di Sankara è dunque una costante che fa innanzi tutto affidamento sulle proprie forze nazionali, che incita alla cooperazione tra i cittadini e non certo all’assistenzialismo, che rifugge da ogni spreco, da ogni lusso, da ogni lassismo, da ogni inefficienza come da ogni protagonismo (che lui peraltro odia a tal punto da vietare l’istallazione di sue gigantografie sulle strade).

Sankara è infatti un autentico Presidente del Popolo, per questo non è difficile vederlo sulle strade della capitale Ouagadougou mentre pedala sulla sua bicicletta, perché a detta sua è soltanto passando per le strade, tra la gente, che ti puoi rendere conto di come stiano realmente le cose.

Thomas Sankara è dunque un dittatore molto sui generis, sicuramente un unicum nel Continente africano e non solo, ma è soprattutto un Capo di Stato disposto a mettere tutto sé stesso per dimostrare che un altro mondo, un’altra vita, un’altra politica ed un’altra economia sono raggiungibili senza per questo dipendere da influenze esterne che richiedono sempre indietro una contropartita impossibile da assolvere, e che perciò finiscono con il chinarti inesorabilmente al loro infame giogo.

Nonostante sia un fautore del concetto secondo il quale ogni popolo deve liberarsi da solo, Sankara probabilmente sogna di esportare il suo modello di nazione e di governo anche agli altri Paesi ancora assoggettati ai poteri coloniali o imperialisti, ma non lo fa con le armi come Guevara o Castro che comunque ammira, bensì sfruttando la forza di idee ed iniziative coraggiose che poi descrive con un linguaggio tagliente ed efficace, anche all’ONU come alle Conferenze Panafricane, e non usa mezzi termini nel dire ai suoi interlocutori occidentali che con il colonialismo in Africa hanno giocato come al casinò, soltanto che con lui hanno stavolta perso e che dunque non passeranno più all’incasso.

Non c’è dunque più alcun dubbio, il “Che Guevara d’Africa”, il “Presidente ribelle” come viene definito, va fermato ed anche al più presto. Qui però non si tratta di localizzarlo all’interno d’una foresta boliviana bensì all’interno del suo stesso Paese, e per far questo non occorrono mercenari bensì una congiura internazionale della quale entrano con ogni probabilità a far parte i servizi segreti di Parigi come quelli di Washington, opportunamente affiancati dai Paesi vicini al Burkina Faso, che ne odiano il Presidente e che sono perciò pronti a fare il lavoro sporco alla ricerca d’un traditore che gli sia spesso vicino.

Di questa congiura ancor oggi non si sa molto, nonostante sui documenti riservati dell’Eliseo sia probabilmente contenuta la verità; una verità che lo stesso Macron aveva promesso di rendere pubblica ma che poi si è ben guardato dal rivelare, nel perfetto stile di quel potere globalista e tecnocratico del quale ne rappresenta una delle più riconosciute espressioni a livello mondiale.

La trama oscura ordita dai precursori delle attuali lobby globaliste trova il suo epilogo il 15 ottobre 1987, allorquando alcuni proiettili centrano il petto del Presidente Sankara, non si è mai capito se ad opera di un commando oppure per la mano assassina di Blaise Compaoré, un vecchio compagno oltre che diretto collaboratore dello stesso Presidente burkinabé, il quale più volte confermerà e poi ritratterà di esser stato l’artefice della sua eliminazione.

Successivamente alla morte i resti di Sankara saranno gettati in una fossa comunque, salvo poi essere in qualche modo recuperati e posti in una povera tomba di cemento più volte danneggiata dagli sgherri di Compaoré il quale, divenuto a sua volta Presidente, fa ben presto risprofondare il Burkina Faso in una condizione ancor più miserabile cancellando ogni cosa positiva realizzata dal suo nobile e capace predecessore, il quale lascerà ai famigliari i seguenti beni terreni: una modesta casa (per la quale stava ancora pagando il mutuo), una Renault 5, diverse biciclette ed un “favoloso” conto in banca di circa 150 dollari.

Se avete avuto la pazienza, la bontà ma anche la curiosità di leggermi sin qui, spero siate anche disposti a perdonarmi il doveroso excursus che ho dovuto fare di questo grande Uomo, anche se non è certo l’aspetto storico che qui mi premeva evidenziare (e che comunque ha la sua importanza visto che queste fulgide figure di rivoluzionari non vengono insegnate nella “buona scuola” del Belpaese).

Spero perciò di aver contribuito non solo a rendere omaggio al Presidente Sankara, bensì a suscitare in tutti Voi quello spirito oltre che quella coscienza identitaria e libertaria che lui stesso stava infondendo ai suoi connazionali, dimostrando che un altro vivere è possibile anche se non si possiedono risorse da destinare alla mostruosa chimera della “crescita economica infinita”, ma che continua ad essere infinita fintanto si trova ancora qualcuno da depredare, qualcuno da impoverire…

Non trovate forse anche Voi analogie tra l’eterno debito coloniale del Burkina Faso e quello che invece ci si prospetta oggi con l’Unione europea?

Davvero c’è qualcuno disposto a credere che i finanziamenti a pioggia di Bruxelles ed i vari PNRR siano aiuti a fondo perduto, magari portati da missionari per salvarci dalle conseguenze del “terribile morbo”?

La realtà sta nel fatto che la storia si ripete, ed è destinata a ripetersi soprattutto nelle sue più nefaste condizioni quando non la si conosce a fondo.

Sankara diceva che quanto il Popolo alza la testa l’imperialismo trema, e quando lui ha fatto alzare la testa della sua gente ha tremato davvero. D’altronde quello è un Continente troppo importante e troppo ricco per lasciarlo in mano agli africani senza prima averlo depauperato d’ogni sua risorsa.

Ogni Popolo deve sapersi liberare da solo, questo è l’insegnamento lasciato dal grande rivoluzionario burkinabé del quale non sono comunque riusciti ad ucciderne gli ideali, perché è solo attraverso la sua totale sollevazione che si riconquista la libertà, che si riconquista la vita!

Dobbiamo perciò saper fare tesoro di questi moniti, magari trovando forza ed ispirazione da quei grandi occhi neri, da quello sguardo onesto, coraggioso e profondo che ancor oggi ci indica quale sia la strada giusta da seguire.

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