L'Italia Mensile

PERCHÉ SIAMO VANDEANI

“Per troppo tempo rifiutammo di ascoltare
le grida di donne e uomini sgozzati, bruciati vivi,
squartati,dei contadini di una terra laboriosa,
che d’una rivoluzione avrebbero dovuto essere beneficiari,
e ne vennero invece a tal punto umiliati e oppressi,
che finirono col ribellarsi”.
(ALEKSANDR SOLŽENICYN)

PREMESSA

Sono pochi ancora oggi i giovani che hanno sentito parlare – con un minimo di obiettività storica – delle guerre di Vandea.

Le colpevoli omissioni e falsificazioni operate dai manuali scolastici, la vulgata dei nobili e dei preti sobillatori di contadini incolti, la semplice ignoranza, l’oblio generalizzato che ricopre tutto ciò che potrebbe macchiare l’artefatto splendore dell’epoca dei “lumi” e della rivoluzione da essa scaturita, dipinte da storici complici come epopee di tolleranza e trionfo degli “immortali principi” (posti del resto alla base di tutti i moderni sistemi demo-liberali) sono le ragioni che spiegano questa colpevole e gravissima amnesia, in un’epoca in cui si straparla, spesso solo a senso unico, di “memorie” da trasmettere alle generazioni future. Ma proprio per queste ragioni, proprio contro certe ragioni, è necessario ricordare e conoscere quali furono le vere origini di questo mondo moderno, a parole sempre aperto al dialogo e alla tolleranza, buonista e politicamente corretto fino alla melassa, nato però nel sangue e che, per mezzo del sangue, impose quelle idee e quei princìpi di cui oggi sono portatori tutti gli uomini che si autoproclamano dotati di buon senso, da destra a sinistra, su questo pianeta globalmente democratico e liberale che viaggia, secondo la precisa volontà di determinate elites finanziarie e politiche, sempre più follemente verso un unico governo e verso un unico mercato che sui princìpi della massonica rivoluzione sono pensati, costruiti e imposti al resto del mondo, in Occidente come in Oriente. Un mondo in cui non rimane che combattere una controrivoluzione ideale, una guerra esistenziale che si configuri come la Vandea del 2000; intesa come lotta tra chi non si lascia ubriacare da un progresso sempre più effimero e mendace e chi questo modello unico vuole invece imporci, sbandierando ancora i subdoli slogans dell’ ’89 e avendo per altro a disposizione oggi strumenti politici, economici e propagandistici ben più raffinati e, almeno in apparenza, indolori. Qualcuno, così come fu per i vandeani, ci giudicherà come gente “fuori dalla storia”, ma l’insulto dei nostri detrattori suonerà per noi come il più gradito dei riconoscimenti.

Giuseppe Provenzale

“FIGLI DELL’ANTICO SERPENTE,
NE IMITANO LE TORTUOSITA’
SI CIRCONDANO DI PAROLE
CHE A PRIMA VISTA NON PRESENTANO
NULLA DI MALVAGIO
E SI SERVONO DI EQUIVOCI COME DI RETI
PER ADESCARE GLI IMPRUDENTI”
(P.Pierre Picot De Clorivièr S.J.)

“Ciò che costituisce la repubblica è la distruzione totale di ciò che le si oppone” (San Just)

PARTE PRIMA

  • I princìpi rivoluzionari motore d’inciviltà

E’ importante e doveroso iniziare la nostra breve e modesta esposizione da una, seppur sintetica, analisi della rivoluzione francese e con essa delle interpretazioni che ne sono state fornite.Gli storici liberali e marxisti hanno descritto gli eventi come malauguratamente degenerati nel periodo del Terrore, volendo separare quest’ultimo dalla sostanziale “forza redentrice” della restante parte della mitizzata “epopea” rivoluzionaria. Ma, per un’effettiva e corretta comprensione della materia in oggetto, bisogna iniziare smentendo energicamente questa visione al cloroformio. La rivoluzione fu, fin dai propri esordi, di natura criminale e illegale, fondata su un odio senza pari verso la religione cattolica e originata da frodi verbali, giuridiche e falsificazioni di ogni tipo, come ci accingiamo a documentare.

Il “Genio” della colonna di Piazza della Bastiglia. Si noti nella mano sinistra la catena infranta, simbolo del diritto di origine divina estirpato dalla Rivoluzione
Allo stesso modo, i medesimi storici partigiani ci hanno dipinto il quadro falso di una Francia alla fame, male amministrata e con un popolo desideroso di ribellione. Eppure uno storico “giacobino”, Albert Mathiez, estimatore di Robespierre, sostiene decisamente il contrario: “…non è in un Paese sfinito che scoppierà la rivoluzione, ma in uno florido e in pieno sviluppo”. (1)

Inoltre: “La monarchia…passo per passo aveva riunito alla corona vecchie province che avevano ciascuna la propria organizzazione e i propri costumi (eredità feudale). Ed essa ne aveva rispettato le particolarità. Il regno era uno nella persona del principe, multiplo nelle sue istituzioni.” (2)
La Francia dell’Ancién Regime si poteva definire, lontani da una distorta visione dell’assolutismo come oppressivo autoritarismo statale, come una vera e propria “federazione di organismi viventi”. Aggiungiamo a ciò la testimonianza coeva del barone di Besenval che, a capo delle truppe della capitale non osò contrastare la presa della Bastiglia da parte di una settantina tra delinquenti comuni, prostitute e disertori: “…La Francia era così fiorente, la popolazione a un livello invidiabile, l’agricoltura e l’industria al massimo sviluppo, e Parigi [che] rigurgitava di denaro…”. (3) Certo necessitava qualche riforma (regolamentazione dei residui feudali e riforma finanziaria) ma se il popolo aveva qualche ragione per lamentarsi, non ne aveva di certo per ribellarsi. Il vero problema del regno, già dalla seconda metà del ‘700, era costituito piuttosto da una profonda crisi morale e intellettuale che pervadeva in particolar modo l’aristocrazia del tempo; una crisi che gli scrittori professionisti delle riforme (Voltaire, Montesquieu, Rousseau ecc..) avevano colpevolmente avviato, assurgendo al ruolo di “direttori spirituali dell’aristocrazia elegante”. (4)

Fu così che “mille testoline incipriate si inebriano delle teorie che le faranno rotolare nel paniere…”. (5) Ed è quindi proprio alla luce di questa condizione della classe dirigente di allora che bisogna leggere gli sviluppi che condurranno ai tragici eventi successivi, Terrore compreso.
Il barone di Besenval lo abbiamo già citato. Ma c’è il duca di Chartres, ad esempio, cugino del re e principe reale che è gran maestro della massoneria o suo padre, duca d’Orleans, che prenderà durante la rivoluzione il nome significativo di “Philippe Egalitè”. Lo stesso Luigi XVI, un anno dopo la sua incoronazione, si era affiliato ad una loggia di corte considerandosi “un filosofo incoronato che si vergogna di comandare a degli uomini liberi”. (6)
Fu sempre il sovrano che volle – nel 1777 – lo svizzero Necker, calvinista e massone, come Direttore Generale delle Finanze e l’ “illuminato” ministro lo ripagò, dopo una politica economica disastrosa per lo Stato, con il celebre falso bilancio del 1781 in cui le spese della corte furono gonfiate per coprire le scelte fallimentari che egli aveva operato, colpevolmente, nel proprio settore di competenza. Fu così che, allo scopo esclusivo di evitare la bancarotta (il bilancio infatti alterava sia lo stato delle entrate che quello delle uscite), da più parti si reclamò la convocazione degli Stati Generali.

Ma per gli esponenti delle “Società di pensiero”, emanazioni dirette delle logge massoniche, la riunione dell’assemblea dei tre ordini non era che l’occasione di mettere fine alla Monarchia per diritto divino, al ruolo della Chiesa e della Fede in Francia; alla società tradizionale nel suo complesso.

Quando, su pressione di Necker, il re concesse il raddoppiamento dei deputati del Terzo Stato, il processo della rivoluzione fu decisamente avviato. Da allora sarà un drammatico crescendo: i brogli e le falsificazioni sulle lamentele dei “cahiers de doléances”, che contenevano spesso richieste di restaurazione dell’antico regime, l’esaltazione del barbaro linciaggio della Bastiglia elevato a macabro mito di fondazione, la tirannica costituzione civile del clero e la relativa persecuzione (spesso fino al martirio) dei religiosi “refrattari”, la proclamazione della repubblica da parte della Convenzione, l’assassinio rituale (simbolo della messa a morte di Dio) prima del re e poi della calunniatissima regina, la conquista del potere da parte dei giacobini e il dilagare incontrollato del Terrore come metodo di distruzione totale e minaccia incombente su chiunque osasse opporsi alla rivoluzione, le stragi di Lione e Tolone, il genocidio di Vandea, il cosiddetto “Terrore bianco” e le altre stragi fino alla dittatura del Direttorio che seguiva a quella della Convenzione (1789-1796).

In buona sostanza, azione e pensiero politico si identificarono nel Terrore. Esso, più che parentesi degenerata, divenne l’essenza stessa della rivoluzione, la sua prassi coerente.

L’insospettabile Alessandro Manzoni nella sua opera, forse non a caso, meno conosciuta così, magistralmente, lo definisce; il Terrore: “nome che applicato a un’intera popolazione, presenta da sé l’idea dell’oppressione che pesi anche su di quelli che non siano colpiti direttamente e levi agli animi il coraggio e fino il pensiero della resistenza.

Del resto, la ragione, per cui un tal nome fu dato a quella sola fase, fu perché in essa la cosa era arrivata al colmo. Ma, come è chiaro per chiunque voglia dare un’occhiata ai fatti, il sopravvento di forze arbitrarie e violente era già principiato, quasi a un tratto, con la rivoluzione, a rattenere col mezzo d’attentati sanguinosi e impuniti sulle persone, una quantità di pacifici cittadini dal manifestare, non che dal sostenere i loro sentimenti”. Crebbero, poi, l’intensità e la ferocia; la “pressura”, prosegue Manzoni, giunge al culmine, lo supera, diminuisce; eppure le conseguenze restano:”… e parimente cessato il Terrore propriamente detto, continuò quella pressura, in minor grado e varie forme, ma per un più lungo spazio di tempo, a esercitare il suo malefico impero”. (7) E’ duro dover ammettere che la democrazia nasca con il sangue e si fondi sul terrorismo, che i progenitori degli odierni campioni della tolleranza, con odio cieco e distruttivo, non tollerarono. Ma le cose stanno proprio così.

E tutto ciò allo scopo di dar vita ad uno Stato-Dio, prodotto della nuova Dea-Ragione, distruttore bestiale dell’Ordine Tradizionale che era fondato sul Trono e sull’Altare. Le bieche idee di biechi individui (Voltaire, Rousseau, ecc…), applicate da personaggi loschi e sanguinari in cerca di notorietà (Danton, Marat, Robespierre, Saint Just ecc…) sembravano trionfare. I club massonici avevano annientato la grandezza di quella che era la prima potenza dell’epoca, avviandosi rapidamente all’esportazione”- grazie all’esercito della neonata leva obbligatoria di massa – della rivoluzione anche nel resto d’Europa, allo scopo, non certo secondario, di rimpinguare, con nuovi espropri e razzie varie, le casse ormai vuote della repubblica che essi stessi avevano provveduto a svuotare impunemente.

Nel concludere questa prima parte, necessaria a nostro avviso per meglio inquadrare la questione vandeana, ci sembra doveroso rammentare, specie a chi si professa senza vergogna erede dei princìpi dell’89, che la rivoluzione francese fu senza ombra di dubbio apportatrice di:

  • Falsità: proclamò, infatti, l’assoluta libertà (pensiero, parola, stampa, educazione) ma la soppresse nella realtà, “nessuna libertà per i nemici della libertà”, deportando in massa i dissenzienti e facendo imprigionare 500.000 francesi, senza prove, da uno Stato di polizia implacabile e onnipresente.
  • Latrocinio: espropriò, senza sosta e senza alcun indennizzo, i beni della Chiesa e dei “sospetti”, sbandierando ipocritamente il principio di uguaglianza, distrusse la società francese unitamente ad un patrimonio storico-artistico di valore incalcolabile.
  • Sterminio: lucido e spietato, nonché “scientificamente” programmato, di religiosi, avversari politici, “sospetti” e “refrattari” d’ogni genere, colpevoli di non comprendere le meravigliose novità da essa imposte.
  • Empietà: sognò il paradiso sulla terra, sostituendo al culto del solo vero Dio i culti falsi della ragione o dell’”Essere supremo”, nel tentativo di cancellare ogni traccia della Civiltà Cristiana.
    Un sacerdote “refrattario”, il gesuita padre Pierre Picot de Clorivière, uno dei tanti uomini di Chiesa perseguitati e costretti alla clandestinità, dal suo rifugio seguiva con dolore i disastrosi progressi della rivoluzione e così lucidamente ne analizzava la natura: “…la rivoluzione era stata preparata da tempo…ma Satana se ne era impadronito sotto l’aspetto di una pretesa libertà, di una pretesa eguaglianza e di una pretesa fraternità; aveva spinto i suoi settari a proclamare i diritti dell’uomo dimenticando i doveri verso Dio.

Questo è il carattere della rivoluzione presente essa diverrà generale”. (8) In definitiva, per un prodigio della dialettica hegeliano-marxista, regolata da un meccanicismo di matrice evoluzionista di fronte a cui molti storici sono giunti alla commozione, dall’inciviltà e dal brutale scatenarsi degli appetiti, dalla tirannide dei fanatici sarebbe nata la moderna civiltà, da uomini mediocri e sanguinari la grandezza dei princìpi.
Ma gli stessi storici – liberali, massoni o marxisti – dimenticano troppo facilmente di avere elencato nei loro testi, spesso copiandosi a vicenda, crimini e atti di barbarie, oltre che aver descritto caotiche, illegittime e per nulla rappresentative assemblee che pretendevano di seppellire la civiltà sotto il peso di leggi dettate dai club e dalle società di pensiero. Si trattò dunque di terrorismo dall’inizio alla fine, da Necker al Direttorio, ispirato da quel dogmatismo della ragione che proveniva da uomini come Rousseau ideatori del dispotismo della libertà, privilegio esercitato da una ristretta cerchia di iniziati, soli e veri “uomini liberi”, sulla pelle di un ordine millenario.

“Francesi, è in mezzo al fragore dei canti infernali, delle bestemmie dell’ateismo, delle grida di morte e dei lunghi gemiti dell’ innocenza straziata; è al bagliore degli incendi sulle rovine del Trono e degli altari bagnati dal sangue del migliore dei Re e da quello di innumerevoli altre vittime; è col disprezzo dei costumi e della pubblica fede, è servendosi di ogni delitto che i vostri seduttori e tiranni hanno fondato ciò che essi chiamano la vostra libertà.”
(J. de Maistre)

“Quando il governo vìola i diritti del popolo, l’insurrezione è per il popolo e/o per una parte di esso, il più sacro dei diritti e il più indispensabile dei doveri “. (art. 35 de “La dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino”, preambolo della Costituzione del 24 Giugno 1793).
PARTE SECONDA

  • La Vandea militare e i suoi condottieri
    Il dipartimento della Vandea si affaccia sull’Oceano Atlantico a Sud – Ovest di Parigi, esso comprende varie regioni e province, oltre alle isole di Yeu e Noirmoutier, e prima della rivoluzione francese era chiamato Basso Poitou. Il territorio, tra i più cattolici di Francia, fu infatti evangelizzato grazie all’attivo apostolato di San Luigi-Maria Grignon de Montfort, è in buona parte collinoso e ricco di boschi oltre che di zone paludose.

Alla fine del 1700, la campagna era generalmente ingrata e la scarsità di vie di comunicazione isolava il dipartimento dal resto della Francia. Finché la rivoluzione, essenzialmente parigina e cittadina, non ne alterò bruscamente tradizioni e ritmi di vita, in modo diretto, il popolo di Vandea (contadini, allevatori, merciaioli ambulanti) continuò la propria quotidiana e tranquilla esistenza, scandita dalla tradizione religiosa, dal lavoro e dai ritmi della natura, oltre che dal profondo attaccamento alla monarchia. Fu quando la Convenzione regicida – dopo aver dichiarato guerra ad Inghilterra, Olanda e Spagna – decretò una leva di 300.000 uomini (24 febbraio1793) che i coscritti vandeani insorsero. Il 10 marzo si sollevò Saint Florent, nella regione dell’ Anjou, l’11 fu la volta di Machecoul, vicino alla costa atlantica, il 14 i contadini occuparono, tra gli altri, il borgo di Garmache massacrando e disperdendo le guarnigioni in blu (si diceva blu dal colore delle divise, oggi diremmo i rossi) dopo aver in precedenza cacciato via i preti fedeli alla rivoluzione, gli “intrusi”, e difeso i “refrattari” perseguitati (circa l’80/90% del clero del dipartimento).
Rapidamente, nel marzo 1793, tutta la Vandea esplose insorgendo spontaneamente di villaggio in villaggio, a nord come a sud, e gli insorgenti, sempre crescenti nel numero, ottennero ovunque le prime significative vittorie. “Loro unità sociale fondamentale era la parrocchia. Senza intese, senza parole d’ordine. Seicento parrocchie insorsero in un solo giorno”. (9)

Quasi contemporaneamente anche in Bretagna, nel Maine, nella Loira inferiore e in Normandia si moltiplicarono le agitazioni (si trattò delle insorgenze – “chouannerie” – realizzate dagli chouans, contadini bretoni e normanni, meno organizzati dei vandeani, ma non meno determinati).
Erano ormai maturi i tempi affinché la rivolta divenisse guerra e per fare ciò gli insorti avevano bisogno di capi. Un commerciante ambulante di filati e lane, il trentaquattrenne Jacques Cathelineau, fu il primo tra i condottieri vandeani, divenendone ben presto il comandante generale. Il 13 marzo 1793, informato della rivolta dei coscritti a Saint-Florent, sulla piazza del suo piccolo borgo così parlò ai giovani che lo ascoltavano partecipi: “Amici miei, ciò che avete fatto richiede ora una decisione immediata. Saremo sicuramente perduti se non correremo ad armarci! Il nostro paese sarà schiacciato dai soldati repubblicani e noi saremo le loro vittime. Il nemico saccheggerà le nostre case, sgozzerà le nostre donne e i nostri figli. Alle armi allora! Alle armi! Combattiamo i blu al grido di Viva la Religione!”. (10)
La leva d’armi organizzata da Cathelineau è caratteristica di ciò che fu la Vandea. Un movimento spontaneo, popolare e religioso. Nessuno dei primi insorti era a conoscenza delle altre agitazioni, spesso lontane, né avrebbe potuto prevedere ciò che sarebbe avvenuto: la costituzione di un esercito guidato da capi, alla testa di gruppi diversi, tutti spontaneamente scelti dagli insorti che spesso ne avevano vinto l’ iniziale ritrosia.

Jacques Cathelineau – il “Santo d’Anjou”-
Fu il caso, fra gli altri, del giovanissimo (aveva appena ventun anni) conte Henri de La Rochejaquelein che, nell’accettare umilmente l’investitura popolare, coniò il motto che Mussolini rese celebre in Italia: “Se avanzo seguitemi, se indietreggio uccidetemi, se muoio vendicatemi”. Popolani, (Cathelineau o i guardiacaccia Stofflet e Tonelet) nobili, (D’Elbée, Bonchamps o il principe di Talmond) ex ufficiali, (Charette, Dommaigne) condussero le armate vandeane a straordinarie e sorprendenti vittorie in campo aperto, conquistando numerose città. Dopo l’importante conquista di Saumur un testimone racconta: “Tutti i vandeani, sia i capi che i soldati, portavano sul cuore uno scapolare (un pezzo di stoffa, originariamente portato a “scapola” da alcuni ordini religiosi) su cui erano le lettere iniziali dei Santi nomi di Gesù e di Maria, attorno a un cuore fiammeggiante. Moltissimi portavano il rosario”. (11)

La vicenda di Cathelineau, davvero eclatante per la serie di fulminee vittorie, le umili origini e l’inesperienza militare, ricorda inoltre sorprendentemente l’epopea di Santa Giovanna D’Arco, patrona di Francia.
Dal marzo al dicembre del‘93 e fino alla cattura di Charette, avvenuta nel 1796, la Francia “illuminata”e il suo esercito subirono numerose, gravi e inspiegabili sconfitte ad opera di questi “soldati di Gesù Cristo” che dopo ogni vittoria tornavano alle proprie case e ringraziavano il Signore facendo cantare il Te Deum nelle chiese di borghi e villaggi in tutto l’Ovest. Il 26 maggio, dopo la rovinosa ritirata da Niort, il commissario presso l’armata repubblicana così scrisse, frastornato e alquanto preoccupato, al ministro della guerra:”Cittadino ministro, sarete forse sorpreso… della ritirata dell’esercito in questa città. A mezzogiorno (ieri a Fontenay) fui informato dell’avanzata del nemico. Subito fu suonata l’adunata e l’armata fu ben presto allertata ed il generale Chalbos diede ordine di avanzare con tutta l’artiglieria. Il cannoneggiamento durò quasi un’ora, il nemico era schierato su tre colonne con circa dodici, tredicimila uomini, e rispondeva col solo fuoco di fucileria non avendo cannoni… il disordine si impadronì delle nostre truppe man mano che la disfatta diveniva generale e furono tallonate senza tregua nella ritirata dalla cavalleria nemica”. (12) L’Armata ”bianca” Cattolica e Reale, al grido di Viva il Re, sembra inarrestabile. La Convenzione corre ai ripari inviando nuove truppe e cannoni in tutta la Vandea.

Ma i bianchi combattono con sempre crescente determinazione. Lo stesso generale Chalbos, prima menzionato, si era ormai accorto dell’evoluzione bellica delle truppe degli insorgenti: “Sono diversi, adottano altre tattiche e altri mezzi… caricano alla baionetta e con i calci dei fucili, la cavalleria, …è molto ben impiegata e mostra grande audacia”. (13) Come sempre, dopo ogni battaglia, i contadini tornavano in gran numero al lavoro della terra per radunarsi nuovamente al suono delle campane a martello; il popolo, cattolico e monarchico, era “refrattario” istintivamente nei confronti degli “immortali principi” ponendosi quale irriducibile nemico della borghesia repubblicana. “Noi non ci battiamo da conquistatori, o per mettere a sacco le città…vogliamo solamente restaurare l’ordine, la religione e la pace”. (14) Così Jacques Cathelineau, in punto di morte a causa di una grave ferita, provocatagli da un cecchino durante la fallita – davvero per un soffio – conquista di Nantes, si raccomandò alla moglie e madre dei suoi cinque figli: “Mia cara Louise, alleva i figli nel timor di Dio. Ripeti loro spesso che il loro padre, prendendo le armi, cercava solamente di salvare la Religione Cattolica nella quale sono stati battezzati.

Offro la mia vita perché possano crescere da buoni cristiani nella religione”. (15)
Dopo la morte del generalissimo Cathelineau, ribattezzato il Santo d’Anjou, i capi vandeani, da uomini semplici, non riuscirono più a trovare l’accordo dei momenti migliori. Le azioni successive furono per lo più opera di gruppi disarticolati cui fu infine fatale proprio la mancanza di unione. Il numero, l’organizzazione militare, l’armamento e la particolare ferocia delle “colonne infernali” giunte da Parigi, fecero il resto. Eppure le insorgenze non si arrestarono. La Rochejaquelein, che non aveva preso parte alla sfortunata battaglia di Nantes, riportò nel settembre di quell’anno 1793 (Cathelineau era morto il 14 luglio) una vittoria a Chantonnay.

L’Armata Cattolica e Reale progetta ora di marciare sulla capitale per liberare il piccolo re Luigi XVII segregato e maltrattato da un alcolizzato, tale Simon, e che morirà nel giugno del 1795 a causa dei maltrattamenti patiti. Ma non si giunse mai ad un accordo e, nonostante altre vittorie, dopo la dura sconfitta di Cholet l’esercito vandeano ripiegò attraverso la Loira. Esso “si è trasformato frattanto in un’armata di profughi con un seguito di 40.000 donne, bambini e vecchi”. (16)

Quindicimila fra questi furono massacrati dai blu il 13 dicembre presso Laval; Monsieur Henry (così ora è conosciuto La Rochejaquelein) è adesso braccato senza tregua dal nemico.

“Questo periodo che i vandeani passano al di là della Loira prende il nome di “Virée de Galerne” a motivo del vento di Galerne, …che soffia nella stessa direzione dei loro spostamenti; è il momento più tragico …ridotti a 15.000 fuggitivi, subiscono un vera e propria carneficina”. (17)

Henry La Rochejaquelein
Il 28 gennaio 1794 La Rochejaquelein viene ucciso a tradimento da un prigioniero repubblicano a cui aveva risparmiato la vita, questi gli aveva sparato alla testa dopo che il nobile eroe vandeano aveva riposto le proprie armi.

L’ultimo capo rimasto ancora attivo e pericoloso è a questo punto François Charette. Il “Re di Vandea” ha sempre agito da isolato, solo a Nantes e nelle successive battaglie si era unito agli altri, operando soprattutto nella regione del Basso Poitou. Se Cathelineau era stato il primo ad organizzare militarmente la controrivoluzione, Charette sarà l’ultimo a cedere, tanto da essere definito “l’inafferrabile”. Ex ufficiale di marina, di origine italiana, “costretto” dai contadini di Machecoul ad assumerne il comando (pare si fosse nascosto sotto il letto), riscosse per le sue doti l’ammirazione di Napoleone e come gli altri capi vandeani, nobili e popolani, costituì il più serio problema per l’esistenza stessa della repubblica rivoluzionaria.
Non ci fu mai, come asseriva la menzognera Convenzione per giustificare la propria politica d’aggressione espansionista, un reale pericolo di invasione dall’esterno, solo con la cattura di Charette la neonata repubblica potrà tirare un sospiro di sollievo e considerarsi sicura: “Charette è in nostre mani….complimenti mio caro Generale! In verità dopo questa notizia siamo come ammattiti!” (da un messaggio del gen. Grigny al gen. Hoche). (18)

E ne avevano ben ragione! Per tre anni, infatti, “l’individualista” monsieur Charette fece letteralmente impazzire i suoi inseguitori: “Non è cosa facile trovare Charette, oggi è alla testa di 10.000 uomini e domani vaga con una ventina di soldati, lo credete davanti a voi e invece è alle spalle delle vostre colonne” (da un dispaccio del gen. Haxo alla Convenzione). (19) Dopo i feroci massacri dell’isola di Noirmoutier – dove più di un migliaio di vandeani furono uccisi dai blu che avevano promesso loro salva la vita – avvenuti nel gennaio del 1794, Charette ottiene alla testa dei suoi una vittoria contro le armate di Turreau, fra i principali responsabili, insieme agli odiosi “rappresentanti del popolo”, di quei massacri. E’ ora Hoche il nuovo generale comandante dei blu, egli mira alla trattativa e fa cessare le stragi; fu così che si giunse agli accordi di Jaunaye nel febbraio 1795. Ma il “Re di Vandea”, con le sue azioni e le sue vittorie, mirava a costringere la Convenzione ad una trattativa per la consegna di Luigi XVII, svanita, in giugno, questa possibilità con la morte del piccolo re, egli riprese una guerra ad oltranza senza alcuna concreta speranza ma senza una possibile alternativa concretamente praticabile che non fosse la guerra stessa. I vandeani furono sempre soli. I nobili fuggiti all’estero (gli “emigranti” che la storiografia ufficiale filo-giacobina ha sempre visto come registi occulti dell’insorgenza), in perenne indecisione, scelsero infine l’alleanza con gli inglesi, per Charette e gli altri, eterni e lontani nemici della Francia cattolica. Gioverà qui ricordare che, proprio a Londra, il 24 giugno del 1717 venne fondata la moderna massoneria speculativa.

François Charette ; nell’immagine a fianco la sua fucilazione
Fu il 23 marzo del 1796 che si concluse la vicenda di François Charette; sconfitto da Hoche viene catturato ferito e sanguinante e condotto a Nantes per essere processato. Il 29 dello stesso mese verrà fucilato, non prima di essere costretto dai civili e pietosi liberal-democratici ad una marcia attraverso la città che farà scrivere ad un testimone repubblicano: “Barbari e selvaggi danzano intorno alla vittima… tutt’altro che abbatterlo o umiliarlo , questa pompa e questo sfoggio servirono soltanto a rivelare la sua grandezza d’animo, la sua pazienza, la sua fermezza”. (20)

“La Vandea non esiste più…
Ho schiacciato bambini sotto gli zoccoli dei cavalli,
ho massacrato tutte le donne
così, almeno, non partoriranno più briganti.
Non ho fatto prigionieri, sono stati sterminati tutti”.
F. J. Westermann, generale repubblicano,
grande amico di Danton (citato da F. Izzo: op. cit. p. 82, nota 37)

  • IL MARTIRIO

La principale fonte contemporanea agli eventi, che testimonia il genocidio operato dai fautori della libertà in Vandea, è costituita dall’opera del comunista utopista Gracchus Babeuf: “La guerra di Vandea e il sistema di spopolamento”. Gli storici francesi che hanno ripulito questi fatti dalla polvere colpevole che ne aveva determinato il secolare oblio, hanno trovato in questo testo la conferma di quanto avevano scoperto: “Fu intrapresa in Vandea, dal 1793, l’eliminazione “scientifica” di un popolo giudicato non assimilabile per conformazione razziale, al regime ateo e repubblicano.” (21) È vero che i blu avevano iniziato lo sterminio già dopo le loro vittorie, promettevano la vita in cambio della resa e non mantenevano la promessa, ma il peggio venne con la repressione successiva. Si fece ricorso spesso al fuoco: “Tutti i villaggi, i borghi e tutto ciò che può essere bruciato sarà consegnato alle fiamme” (da un proclama militare); (22) ma anche l’acqua servì ai feroci “commissari del popolo” e deputati della Convenzione per i loro propositi.

A Nantes il deputato Carrier, convinto sostenitore dell’impossibilità per la Francia di sfamare la propria numerosa popolazione, decise di portare alle estreme conseguenze e in modo perverso quella che del resto era un’analisi fatta a suo tempo dal razionalista Rousseau. Dal novembre al dicembre del 1793, con un totale di undici “naufragi”, fece annegare nella Loira 4.800 tra preti “refrattari”, oppositori e semplici sospetti. Significativo il commento contenuto in uno dei dispacci che Carrier puntuale inviava alla Convenzione: “…che torrente rivoluzionario la Loira!”. Ma, come si può ben capire, non sempre erano disponibili torrenti e corsi d’acqua .

Numerosi furono i villaggi cancellati, con i rispettivi abitanti massacrati e spesso bruciati vivi dentro le case. Il 28 febbraio del 1794 “le colonne infernali”, inseguendo Charette, massacrarono la maggior parte degli abitanti di Lucs-sur- Boulogne, che nel 1789 erano circa 2.000. Ritornarono non contenti il 5 marzo; i superstiti della prima strage si erano rifugiati all’interno e attorno alla chiesa del villaggio e nella cappella del Petit-Luc, sotto la protezione dei due sacerdoti. I blu distrussero e sterminarono, infine, presero a cannonate la chiesa che crollando seppellì i rifugiati, molte le donne e i bambini; sotto le macerie si contarono 564 vittime tra cui 110 bambini di meno di sette anni. In certi villaggi, donne, bambini, anziani, feriti furono rinchiusi dentro il forno per il pane del paese, lì vennero bruciati vivi raccogliendone infine il grasso. (23) A questo tragico e incompleto bilancio vanno aggiunte le numerose fucilazioni di massa (6000 solo a Savenay) e le “esecuzioni” per mezzo della “pietosa” ghigliottina. “Ad Angers, una commissione (sottospecie di tribunale rivoluzionario) fece fucilare 1.896 prigionieri, in otto “serie”, con un’infornata supplementare di 292 condannati, che vennero condotti a morte a suon di musica, tra due ali di soldati …

La Commissione Felix …non si preoccupava nemmeno più di far la commedia del processo. Si limitava ad elencare i detenuti e a marcarli come capi di bestiame. F significava «da fucilare», G «da ghigliottinare»”. (24) Secondo alcune fonti, più di mille furono le vittime del signor Felix, insegnante di canto, che faceva la spola tra Laval e Saumur.
Ma quale portata complessiva ebbe questo barbaro e liberale massacro, operato nell’Ovest della Francia e che seguiva quelli identici realizzati contro le città ribelli di Lione e Tolone? “La popolazione di Angers passò dai 30.605 abitanti del 1792 ai 23.498 del 1802, quella di Thouarcé da 16.535 a 12.852…”. (25) Le stime più modeste parlano di 350.000 tra uomini, donne, vecchi e bambini, ma gli studi più recenti giungono a cifre ben più alte: 600.000 massacri. Al di là dei macabri conteggi, l’enormità del genocidio deliberato dai pionieri del liberalismo ai danni del proprio stesso popolo, che della rivoluzione e della libertà avrebbe dovuto beneficiare, è fin troppo evidente. Ed è allo stesso modo evidente che (come avverrà anche più tardi, ancora nella stessa Vandea (26) come in Italia e nel resto d’Europa con l’avanzare delle truppe napoleoniche e infine anche dopo durante il cosiddetto “Risorgimento”, per rimanere agli esempi geograficamente più vicini) il popolo rifiuterà e combatterà tenacemente la rivoluzione fatta per “redimerlo”. Il popolo infatti non comprendeva in cosa consistesse la bontà di un mondo senza valori, imposto attraverso il sangue e la negazione di Dio.

”La nostra patria sono i nostri villaggi, i nostri altari, le nostre tombe, tutto ciò che i nostri padri hanno amato prima di noi. La nostra Patria è la nostra fede, la nostra terra, il nostro re. Ma la loro patria, che cos’è? Lo capite voi? Vogliono distruggere i costumi, l’ordine, la Tradizione. Allora, che cos’è questa patria che sfida il passato, senza fedeltà, senz’amore? Questa patria di disordine e irreligione? Per loro sembra che la patria non sia che un’idea; per noi è una terra.

Loro ce l’hanno nel cervello; noi la sentiamo sotto i nostri piedi, è più solida. E’ vecchio come il diavolo il loro mondo che dicono nuovo e che vogliono fondare sull’assenza di Dio… Si dice che siamo i fautori delle vecchie superstizioni… Fanno ridere! Ma di fronte a questi demoni che rinascono di secolo in secolo, noi siamo la gioventù, signori! Siamo la gioventù di Dio. La gioventù della fedeltà”.
(François de Charette)

Ed è proprio vero che, come diceva Charette, “questi demoni rinascono di secolo in secolo”, le idee della rivoluzione si diffondono sempre e con una fortissima energia. I principi massonici, in tutti i campi, favoriti dai media che garantiscono loro un’immensa penetrazione nel popolo, sembrano ormai universalmente assimilati, tutti diligentemente si conformano ad essi. Tutto è propagandato e realizzato basandosi su modelli unici, globali: dalla politica all’economia, alla stessa umanità, al modo di pensare. In questo contesto solo la Chiesa appare ridotta a irrazionale residuato. Spesso però fra gli stessi cattolici e, purtroppo, anche in troppi uomini di Chiesa, è scomparsa ogni traccia della Civiltà Cristiana e si pretende come possibile la religione senza la Chiesa; la stessa considerazione si vorrebbe, da più parti, nei confronti di una qualsiasi pseudo-religione realizzata a tavolino, da poter scegliere liberamente così come si fa al supermercato con questa o quella marca di surgelati. Le ragioni quindi di una Vandea ideale appaiono tutt’altro che remote, così come tutt’altro che remoti sono gli effetti di una rivoluzione francese che molti ritengono ancora da realizzare compiutamente, sognando una “repubblica universale”.

Riemergono allora, sempre vive ed attuali, le figure esemplari di Charette, Cathelineau o La Rochejaqueleine; che ad esse possa ispirarsi oggi la nostra migliore gioventù in modo da proporsi come soggetto attivo e consapevole di una ricostruzione dei popoli, delle nazioni e dei costumi, in modo da potersi definire con orgoglio: Gioventù di Dio! Gioventù della fedeltà.

Bibliografia essenziale, utilizzata e consigliata:

  • Pierre Gaxotte “La rivoluzione francese” Mondatori Oscar, 1989
  • Jean Dumont “I falsi miti della rivoluzione francese” Effedieffe, 1990
  • Reynald Secher “Il genocidio vandeano” Effedieffe, 1991
  • Gracchus Babeuf “La guerra di Vandea e il sistema di spopolamento” Effedieffe, 1991
  • Fulvio Izzo: “I guerriglieri di Dio” Controcorrente, 2002
  • Piero Buscaroli “Charette l’eroe proibito” Il Giornale 4,11,19, 25 agosto 1996
  • Louis Charbonneau-Lassay “Simboli della Vandea. Emblemi e insegne dell’armata controrivoluzionaria” Il cerchio, 1993
    Sulle insorgenze controrivoluzionarie in Italia:
  • Massimo Viglione “La Vandea Italiana” Effedieffe, 1995 NOTE

1 – Cit.da Pierre Gaxotte: “La Rivoluzione Francese” ediz. italiana, Mondadori 1989, pag. 28
2 – P.Gaxottte, op.cit. pag. 18
3 – Ibidem, pag. 45
4 – Ibidem, pag. 73
5 – Ibidem, pag. 74
6 – Ibidem, pag. 86
7 – A.Manzoni: “Saggio comparativo su la riv. franc. del 1789……” pubblicato nel 1889, la citazione è tratta da Piero Buscaroli: “Charette l’eroe proibito” – parte IV – Il Giornale, 25 Agosto 1996
8 – Cit. in M. De Bazelaire S.J.: “Il padre De Clorivière – uomo di Dio per tempi difficili” Ed.Alzani- Pinerolo, 1988.
9 – P. Buscaroli, op. cit., parte II “Il Giornale” 11/8/1996.
10 – Citato da Fulvio Izzo in “I Guerriglieri di Dio, “Ediz.Controcorrente Napoli, 2002- pag. 40
11 – Cit. da F. Izzo, op. cit., pag. 57
12 – Ibidem pag. 52
13 – Ibidem pag. 49
14 – Ibidem, pag. 59
15 – Ibidem, pag. 63
16 – Ibidem, pag. 75 nota 16
17 – Ibidem, pag. 76
18 – Citato da P. Buscaroli, op. cit.-parte I – Il Giornale, 4/8/1996
19 – Ibidem, parte II – Il Giornale, 11/8/1996
20 – Ibidem, parte I
21 – Ibidem
22 – Tratto da « Savoir et Servir » – “LA REVOLUTION DITE FRANCAISE”, n.14,1989.
23 – Cfr.A. Servien “Petit Histoire des guerres de Vandè”- ed. De Chirè, 1983 pag. 110
24 – P.Gaxotte, op.cit., pag. 300
25 – Reynauld Secher: « La Vendèe Vengé »,ed.Puf, 1986
26 – Si allude alle insorgenze vandeane del 1832, seguite alla rivoluzione del 1830 e al regno illegittimo di Luigi Filippo, alla cui testa si pose Maria Carolina di Borbone e a cui parteciparono il figlio di Cathelineau e il nipote di Charette.

VANDEA
Questo sole questo sole di Francia
questa notte ha cambiato colore
non ci scioglie più il nodo alla pancia
quando la sera lo vedi calare.
Questa spada non è spada è una lancia
taglia la gola agli agnelli e ai bambini
questo fuoco che brucia le chiese brucia
il raccolto dei contadini.
E mio figlio che è figlio di Francia
rivolta la terra perché ci dia da mangiare
conosce fatica, dolore e rinuncia
conosce una croce a cui poterla affidare.
Ma questo milione di uomini a cavallo
hanno le lame sopra il loro coltello
hanno un diavolo per capello
e di capelli una marea.
Cantano di questa Francia che cambia
hanno un sorriso che gli approva la morte
stringono tra le ginocchia un cavallo,
e il cavallo s’impenna e riparte.
Rit: E la Francia moriva
contadini baroni ed i figli suoi
e mio figlio che ancora cantava
cantava il domani appartiene a noi.
Queste mani, queste mani di Francia,
di pelle nuda che non intende ragione
già si formano in grembo alla pancia
di ogni madre di questa regione.
Mio figlio che è nato di notte
sul pavimento di un casolare
ha una schiena che piega soltanto
quando il grano è maturo e che lo deve tagliare
Mio figlio che è anima cuore e cervello
è impasto di Francia e la voleva servire
gli hanno reciso di netto la testa dal collo
all’alba di un giorno che non doveva venire.
Ma questo milione di uomini a cavallo
hanno un ghigno che gli precede il naso portano al collo un ramo di capelli
per ogni donna che hanno ucciso.
Altre donne che corrono tra il ferro e il fuoco
tenendosi il vestito strappato restano solo cani che abbaiano verso il fumo
dopo che il fuoco s’è placato.
Rit: E la Francia moriva
contadini baroni ed i figli suoi
ed il figlio di mio figlio che ancora cantava
cantava il domani appartiene a noi.
E la Francia spariva
contadini e baroni ed i figli suoi
ed il figlio di mio figlio che ancora cantava
cantava il domani appartiene a noi
(Massimo Morsello – dall’album “La Direzione Del Vento” ed. RTP – 1998)

LA VANDEANA
Ride la folla ed urla al sangue che colora
il collo dei soldati fedeli alla corona
che sopra i ceppi hanno baciato il giglio dell’onore
che col sorriso hanno gettato di sfida il guanto ancora

Rit: Siamo del suol di Francia i cavalieri nella notte noi andiamo
il vento freddo del terror non ci potrà fermare

Se un bianco fiore nasce in mezzo a noi è il giglio di chi crede ancora
come il bel simbolo d’amor
che al trono ci legò
Spade della Vandea, falci della boscaglia baroni e contadini siam pronti alla battaglia
per onorare chi morì sopra le ghigliottine
per riportare il sole di Francia
sulle nostre colline
Rit: Siamo del suol di Francia i cavalieri nella notte noi andiamo
il vento freddo del terror non ci potrà fermare
La fede che difendiamo con onore
dentro i nostri cuori splende
come il bel simbolo d’amor
che al trono ci legò
Nei campi devastati dall’odio dei soldati
da uomini ingannati da giudici plebei
nasce un bel fiore che i cavalieri portano sui mantelli
è il bianco giglio che ha profumato il campo dei ribelli
Rit: Siamo del suol di Francia i cavalieri nella notte noi andiamo
il vento freddo del terror non ci potrà fermare
Se un rosso fiore nasce in petto a noi
è il sangue di chi crede ancora
di chi combatte con onor nella divina missione
Sanguina il Sacro Cuore sulla nostra bandiera
e nella notte inizia l’ultima mia preghiera
Vergine Santa salva la Francia dalla maledizione
rinasca il fiore della vittoria, controrivoluzione
Siamo del suol di Francia i cavalieri nella notte noi andiamo
il vento freddo del terror non ci potrà fermar…
(Pino Tosca)

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