L'Italia Mensile

Per organizzarci

«Ma non scoppiano forse tutte le sommosse, senza eccezione, nel disperato isolamento dell’uomo dalla comunità (Gemeinwesen)?» Karl Marx, 1844

Oggi molti segni indicano che il divario tra la condizione di vita dei dominati, sempre più proletarizzati, e la ricchezza dei loro bisogni, tra l’oppressione del controllo sociale, tra la perdita di difese sindacali e la qualità dei comportamenti di lotta si è esteso in modo irreversibile.

Al punto in cui siamo non possiamo restare fermi. Occorre che  “Italia Libera”, Movimento Popolare Resisente, si doti degli strumenti organizzativi necessari a far fronte adeguatamente al processo capitalistico di americanizzazione. L’urgenza, la qualità e le forme del processo organizzativo, si presentano, a mio avviso, come la questione cruciale per il nostro futuro. Non c’è niente di garantito e di certo al di fuori dei termini oggettivi, in cui si colloca la lotta anticapitalistica, e di quelli soggettivi/comunitari prodotti dalla militanza rivoluzionaria: l’unione di questi due aspetti, la funzione e il progetto stesso dell’organizzazione devono rappresentare una conquista per tutti i rivoluzionari.

Attenti però! Queste comunità non vanno considerate come avanguardie, in una situazione atomizzata, sfilacciata e opaca, e nell’assenza della classe proletaria come comunità solidale e indipendente, scomparsa la domanda di rappresentazione politica autonoma, venendo a mancare un blocco sociale alternativo a quello borghese, in uno scenario politico caratterizzato dalla tendenza all’americanizzazione sociale e dal bipolarismo, diviene risibile considerare noi stessi come avanguardia.  

Siamo una delle minoranze resistenti, guastatori dietro le linee nemiche, seminatori di idee in una terra refrattaria che va bonificata e dissodata.

Dobbiamo dunque sapere che fino a quando reggerà l’attuale opulenza consumistica vivremo ai margini della vita politica ufficiale, resistendo in un contesto ostile. Non è la prima volta che una generazione è chiamata a sacrificarsi per consegnare a quella successiva le armi della riscossa. Questo non vuole dire chiudersi in una turris eburnea, pensiamo ad una Italia Libera, Comunità Rivoluzionaria e politicamente attiva nella società.

Verso quale socialismo?

Il socialismo è la realizzazione di un ordine solidale in conformità alla natura umana. Proprio per questa ragione o è comunitario e patriottico o non è. La realizzazione del socialismo comunitario è il fine della trasformazione degli attuali rapporti di produzione.

La lotta contro il rapporto sociale capitalistico è il complemento necessario della realizzazione comunitaria come scelta libera degli individui. Il sistema sociale condiziona le scelte ideologiche e la cultura di un’epoca e di una società; allo stesso modo i singoli possono porsi individualmente in aperta opposizione alle dinamiche fluide dell’ingranaggio capitalistico, nella sua prassi conflittuale e nella sua ideologia unidimensionale.

L’adesione personale alla comunità resistente e la lotta politico-culturale contro le strutture sistemiche sono due momenti inscindibili e necessari per l’obiettivo che ci siamo posti.

Il nostro socialismo

Il socialismo, così inteso, può assurgere a concreta idealità ed a praticabile cammino umano comunitario solo laddove venga spogliato di ogni elemento meccanicistico, positivistico e messianico.

La relazione economica liberata, pur restando elemento fondante del movimento verso la prassi della comunità solidale, non può essere univoco passo verso la liberazione dalla struttura conflittuale; l’elemento di coesione reale comunitaria, che si realizza attraverso la coscienza e la condivisione esistenziale, è condizione essenziale per il socialismo. Pertanto il socialismo comunitario resta l’unica opzione infine giocabile nella sua più dispiegata e coerente radicalità.

La contraddizione capitale/lavoro

La comunità umana e solidale non potrà sorgere solamente dal naturale acutizzarsi del conflitto di classe: il capitalismo ha dimostrato, attraverso lo sviluppo del progresso tecnico, di poter concedere le chiavi dell’ascesa materiale delle condizioni di vita dei popoli, oltre ogni sperequazione dei redditi (seppur tuttora fortissima a livello mondiale). Il capitalismo, nel suo centro motore tecnologico rappresentato dai Paesi più avanzati, mostra che l’unica possibile reazione contraria al proprio funzionamento conflittuale, che annichilisce la personalità umana, è la presa di coscienza e la volontà di non alienazione. Pertanto, la pretesa di far scaturire il socialismo in forma quasi meccanica dall’acuirsi delle contraddizioni tra classi, diviene credenza metafisica laddove applicata in termini non meramente strumentali (dunque contestualizzati).

La lotta di classe

La lotta di classe è puro strumento di trasformazione della società in vista di una società senza classi. Strumento indispensabile, valido ed efficace, la lotta di classe è praticabile quando la classe rappresenta una forza di coesione comunitaria capace di superare l’alienazione del modo di produzione capitalistico, in quanto comunità di intenti cosciente. Essa non può assurgere a feticcio teleologico in sé, laddove il contesto capitalistico abbia frantumato, come accade nel centro capitalistico nei tempi odierni, ogni residuo comunitario della classe lavoratrice.

L’equazione tra sfruttato-lavoratore e potenziale rivoluzionario deve essere respinta come artificio positivistico. La lotta contro il capitalismo oggi risiede innanzitutto nel rifiuto cosciente e comunitario dell’alienazione sociale. Questo non significa affatto negare il carattere classista, oggi più di ieri, del modo di produzione capitalistico e della società che esso genera: significa solo rifiutare ogni concezione univocamente deterministica relativa al soggetto rivoluzionario capace di mettere in discussione l’ordine vigente.

Socialismo e proprietà privata

L’abbattimento del rapporto proprietario privato non è l’abbattimento del legame tra uomo e bene materiale, inteso nel suo valore di appartenenza e di affettività. La proprietà privata, infatti, è cosa ben diversa dalla proprietà personale.

Mentre la proprietà privata è descrivibile come rapporto sociale liberamente manipolabile e sfruttabile a fini conflittuali e per l’esercizio del proprio potere di monopolio contro il prossimo, la proprietà personale è, invece, garanzia di presenza e continuità di fronte alle cose che realmente appartengono.

Nel socialismo la proprietà personale – tutto ciò che ha valore in quanto rapportato direttamente all’uso e all’affetto – deve essere tutelata e difesa dalla violenza dei rapporti di produzione conflittuali. Il capitalismo, infatti, mette a repentaglio continuamente la stessa esistenza della proprietà personale, privatizzando e manipolando ogni bene esistente e riducendolo a merce fluida e valorizzabile.

La proprietà privata, al contrario, in quanto rapporto di potenziale sfruttamento, competizione e alienazione materialistica data dall’accumulazione di cose, deve essere superata.

Proprietà personale e proprietà comune – i mezzi di produzione del lavoro, le risorse naturali e tutti i beni comuni – devono entrambe uscire dalla logica della mercificazione e dell’arbitrio. La loro compresenza segna il rapporto tra uomo e comunità, tra relazione affettiva personale e relazione comunitaria. 

È evidente come solo il superamento del modo di produzione capitalistico possa permettere di parlare in termini di proprietà personale e proprietà comune in opposizione all’essenza della proprietà privata.

Il lavoro umano nel comunismo

Il lavoro umano, nel socialismo, non può essere elemento estraniato dal reale, finalizzato alla valorizzazione del capitale e all’accumulazione generica di progresso tecnico. Il lavoro è dedizione al proprio ruolo, alla propria capacità ed espressione e non può vivere, senza che si svuoti di senso, dentro la logica della rincorsa al progresso materiale collettivo infinito.

Il lavoro di ciascuno contribuisce senza dubbio all’acquisizione di conoscenze e progresso utile alla comunità ed all’umanità tutta, ma non può mai perdere il suo carattere di opera realizzata attraverso l’espressione dell’autore.

Il lavoro è cura e creazione ed impegno e dedizione comunitaria al tempo stesso. Il fatto che oggi il lavoro sia spesso inteso come fastidio da minimizzare o come sfera di alienazione in cui riversare la propria vita, compensando mancanze esterne, rivela il rapporto sbagliato che nel capitalismo si instaura tra uomo e lavoro. Se l’uomo non ama il proprio lavoro e non ne comprende la finalità ultima, esso non potrà mai assurgere a momento integrato con la vita personale e comunitaria.

Socialismo e progresso

Nel socialismo il progresso, inteso come semplice miglioramento delle condizioni di vita materiale, viene riportato alla propria misura umana, spogliandosi dell’elemento metafisico e tecnocratico che lo avvolge nel sistema capitalistico, dove si cerca il progresso incontrollato, necessario per lo stesso buon funzionamento del sistema. Il progresso non è una panacea del male, né un cammino lineare necessario; la stessa idea progressistica della storia non conduce l’uomo ad una comprensione profonda del proprio presente e della propria fragilità.

Nella comunità che ritrova se stessa, non ci deve essere più il progresso di per se, come parametro e bussola della vita collettiva, ma, al contrario, la misura ed il limite, intesi come coscienza della propria umanità, in contrasto con la coscienza individualistica illimitata che fonda l’equilibrio sociale capitalistico dovranno costituire la stella polare verso cui dirigersi.

Il capitalismo, secondo la nostra analisi, procede e si riproduce in modo ciclico, attraverso fasi di crisi che sono del tutto sistemiche. Proprio per questo, avversiamo i sostenitori dell’ideologia laica o religiosa del Progresso, rifiutando di interpretare lo scorrere del tempo in modo lineare-teleologico.

Caratteri ed ideologia del sistema capitalistico

Il capitalismo è un modo di produzione che genera una specifica alienazione sociale, consistente nell’accettazione ideologica del conflitto “inter-individuale”, come dato naturale dell’uomo sociale e nella fede messianica nelle virtù del progresso materiale, come risultato a posteriori del meccanismo di mercato. Quest’alienazione provoca una scissione tra uomo conflittuale, il cui ruolo sociale viene posto nei meccanismi invisibili di un sistema fondato sullo sfruttamento e la concorrenza e sull’annichilimento dell’altro, verticale (fra detentori di capitale e lavoratori) e orizzontale (fra lavoratori e fra capitalisti); e uomo politico, il cui richiamo al civismo democratico si scontra continuamente con la conflittualità permanente della relazione economica. Il progresso materiale viene allora idolatrato come forma di felicità ex-post generalizzabile potenzialmente in forma democratica e diviene pura compensazione effimera, che nasconde la miseria della relazione sociale competitiva. D’altra parte, è appunto il capitale stesso che per sua natura, è da sempre costretto a creare le condizioni materiali che possono portare al verificarsi di un simile passaggio. Esso sussume ogni forma produttiva anche quelle più arcaiche, immettendo nel mercato mondiale ogni prodotto/attività dell’uomo. Di più; esso rende omogenee le strutture sociali di paesi differenti e, in prospettiva, le conseguenze di questo processo inarrestabile, possono essere straordinarie. La mercificazione universale e la conseguente precarizzazione della stessa vita quotidiana di miriadi smisurate di esseri umani, in ogni parte del globo, creando le condizioni materiali per una infine possibile, non che ormai indispensabile e urgentissima, opportunità di liberazione, verso l’alterità radicale di una “Comunità Umana” che non potrà che essere universale.

Il carattere essenziale della società capitalistica

Il carattere essenziale della società capitalistica e dell’ideologia liberale che ne è portavoce è, oggi più che mai, la libera manipolazione dell’uomo e il libero conflitto tra uomini, come elementi falsamente libertari, che assurgono ad ideologia di legittimazione democratica dello sfruttamento economico.

Il punto cruciale dell’ideologia scaturente dalle relazioni capitalistiche non è lo sfruttamento in sé (che resta invece struttura fondante), quanto la falsa onnipotenza dell’ascesa economica possibile e del progresso infinito. Se il privilegio è l’elemento fondante del modo di produzione, il tratto dominante dell’ideologia è invece la continua potenzialità del privilegio e dell’arricchimento, nonché l’illusione di una libertà infinitamente manipolabile e la fede nell’avanzamento illimitato della tecnica. La mancanza della misura e del senso del limite e l’insaziabile fame di accumulazione sono i cardini della prassi capitalistica e dell’ideologia che la supporta, che ne è insieme causa ed effetto.

Il capitalismo assoluto (capitale totale)

Il capitalismo odierno – nella sostanza, l’imperialismo – vive una fase “assoluta”, (totale)intesa come progressiva integrazione di ogni elemento culturale e materiale (gli ultimi residui di stato sociale) alla logica della mercificazione mercantile. Il liberalismo sfrenato, economico e politico, conduce al progressivo assorbimento della relazione umana entro i parametri del rapporto economico. 

Il capitalismo si struttura sempre di più come sistema economico invasivo che, mentre annichilisce la libera personalità conformandola allo schema consumistico compulsivo e all’ideologia asservita, privatizza gli ultimi residui di bene comune, mettendoli in pasto al capitale precarizzando in maniera esasperata la vita delle persone. (Segue)

Maurizio Neri

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