L'Italia Mensile

La “non cultura” globalista…

Carla Peroni

Tom Nichols, politologo e saggista della Harvard Extension School, nel suo “The Death of Expertise: The
Campaign Against Established Knowledge and Why it Matters” del 2017 (in breve la morte della
conoscenza) spiega come stiamo vivendo nell’era dell’incompetenza e avverte del pericolo di uno studio
frammentato, superficiale che “si trasforma in incursioni ripetute in un buffet educativo per lo più
imbandito con l’equivalente del cibo spazzatura e una scarsa supervisione degli adulti”.

Si potrebbe tranquillamente affermare che paradossalmente c’era più conoscenza, più saggezza e più
profondità quando lo studio non era alla portata di tutti.

Non fraintendetemi, lo studio è un diritto ma in
quanto tale è soprattutto un dovere: la coscienza di ciò che si studia è importante tanto quanto la
conoscenza che da questo studio scaturisce.

Rispetto al passato oggi l’offerta formativa è estremamente vasta, al punto di divenire caotica e
frammentata: ci sono corsi di laurea che definire inutili è un eufemismo (Corso di Laurea in Scienze
dell’allevamento, Igiene e Benessere del Cane e del Gatto) eppure ai fini della partecipazione a un concorso
hanno lo stesso valore di una laurea in ingegneria e superano il liceo classico e scientifico.

L’università dovrebbe fornire profonda conoscenza, cultura e sapere che sono gli strumenti attraverso i
quali si può affrontare e comprendere il mondo, invece si preoccupa oggi di formare professioni(sti) privi
delle minime conoscenze di base.

Una volta si diceva “studia per sapere” oggi si sceglie il corso di studi in base agli sbocchi professionali e
questo ha portato a un impoverimento sempre maggiore tanto che si è arrivati agli studi senza libri.

Esatto, avete letto bene: la maggior parte degli studenti universitari si laurea senza aver mai studiato su un
libro, un manuale, uno di quei tomi enormi che tanto facevano sudare gli studenti fino almeno a 20 anni fa.

Oggi ci si prepara sulle dispense, sugli appunti presi durante una lezione in aula.

Questa semplificazione, però, ha radici più profonde e non appartiene solo allo studio universitario: fin
dalle elementari, infatti, si è presa l’abitudine di far studiare gli alunni sulle cosiddette “mappe concettuali”
che altro non sono che una rappresentazione grafica di concetti espressi in forma sintetica e geometrica,
collegati fra loro da linee che esplicitano la relazione attraverso parole-legamento.

La vedete anche voi la sottile linea rossa che nasce dalla scuola elementare e finisce dentro gli Atenei?

Quella semplificazione dei concetti, quell’azzeramento della conoscenza profonda al posto di quella
superficiale, la creazione di individui ignoranti, scollegati tra di loro, superficiali come una mappa
concettuale, appiattiti come uno schema, senza uno scopo che non sia economico come i corsi di laurea che
scelgono.

Ovviamente tutto questo fenomeno è accelerato e ingigantito da quello che oggi chiamiamo mondo dei
social, in cui tutto è fagocitato alla velocità della luce, le notizie invecchiano dopo 7 minuti e anche il
mestiere più antico del mondo è diventato un business in cui non sei più una prostituta ma una “super
modella bellissima e coraggiosa”.

E questa è la sottile linea rossa del capitalismo e del globalismo.

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