L'Italia Mensile

“La Maidan georgiana”

di Fabio C. Maguire

Notte di scontri e disordini in Georgia, dove i manifestanti stanno assaltando il parlamento, lanciando diverse bombe molotov in direzione dei mezzi di polizia e superando ogni barriera antisommossa.
La situazione è degenerata a seguito del voto posto dal Parlamento di Tbilisi circa la nuova legge “sulla trasparenza dei finanziamenti esteri”, meglio nota come “legge sugli agenti stranieri”.
Questo quadro legislativo prevede che tutte le organizzazioni non statali che ricevono più del 20% delle loro entrate annuali da un associazione o un governo straniero si debbano registrare all’interno di un elenco del Ministero della Giustizia come “agenti stranieri.”
L’inottemperanza a questa normativa comporterebbe serie conseguenze amministrative e penali, con una reclusione fino a cinque anni.

La proposta, in teoria, fu inizialmente avanzata per contrastare la disinformazione russa ma, nella prassi, ha colpito principalmente le ONG occidentali, fra queste spicca la celebre USAID, ovvero l’Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale, e la cui amministratrice Samantha Power, nota per aver supportato le guerre in Libia, in Yemen e in Siria, ha commentato affermando di trattarsi di una legge che “minaccia gravemente il futuro euro-atlantico della Georgia.”
La legge approvata con il sostegno del governo, rappresentato dal partito “Sogno Georgiano” apertamente filo-europeo e pro NATO, ha incontrato subito anche la condanna dell’ambasciatore statunitense e del portavoce del Dipartimento di Stato USA che hanno definito il tutto come “una giornata nera per la democrazia georgiana”.
La stessa Presidente della Repubblica Zourabichvili presente negli States in questi giorni, strana coincidenza, ha espresso solidarietà e sostegno ai manifestanti.

Ma questa legge dovrebbe prevedere che le organizzazioni iscritte al sopracitato registro dovrebbero fornire annualmente informazioni circa i loro finanziamenti e finanziatori e sulla loro spesa di bilancio.
Inoltre la normativa prende esempio dal FARA americano, ossia il Foreign Agents Registration Act, in vigore dal 1938 e che impone obblighi di divulgazione pubblica alle persone che rappresentano interessi stranieri.

I fatti di questi ultimi giorni richiamano agli eventi visti e rivisti in Ucraina nel 2014, si potrebbe dunque parlare di una “Maidan al georgiano”, un tentativo di schierarla contro la Russia, farla rientrare nella fazione anti-Mosca e magari utilizzarla come nuovo cavallo di battaglia in funzione anti Putin.
Sarebbe un ulteriore vittoria per Washington sia in termini diplomatici che militari, con la NATO che si avvicinerebbe ancora di più ai confini russi.
Washington per colpire la Russia avrebbe in particolare tre paesi a disposizione: l’Ucraina per prima, questa si trova già in una guerra logorante e dagli esiti molto incerti per gli ucraini; la Moldavia per seconda, dove però vi è una grande presenza di personale militare russo, oltre che un popolo ostile e non bene accetto alle politiche belliche dell’Occidente e infine come terza la Georgia.

Questa però, nonostante un governo europeista, non potrebbe mai competere in uno scontro aperto con Mosca per una serie di motivi: la Georgia non è minimamente paragonabile né demograficamente, né economicamente e né militarmente all’Ucraina, inoltre se già risulta ai grandi occidentali complicato rifornire Kiev, nonostante uno appoggio e una disponibilità completa di paesi vicini quali la Polonia, come potrebbero consegnare armi e munizioni a Tbilisi? Considerando anche il fatto che la vicina Turchia non consentirebbe che sul suo suolo affluiscano equipaggiamenti e mezzi militari stranieri, specie dopo gli ultimi attriti con la Casa Bianca.

Resta il fatto che lo spazio per attuare le “Rivoluzioni colorate” è terminato e il nuovo scacchiere geopolitico si sta delineando con precisione, una nuova cortina di ferro intercorre tra l’Occidente e l’Oriente.

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