L'Italia Mensile

Julian Assange: la Corte britannica respinge l’appello contro l’estradizione.

di Fabio C. Maguire

Julian Assange è “pericolosamente vicino” all’estradizione negli Stati Uniti.
L’Alta Corte britannica, presieduta dal giudice Jonathan Swift, ha respinto il ricorso formulato dai legali del giornalista australiano, rigettando tutti e otto i motivi dell’appello contro l’ordine di estradizione negli USA.
Il Tribunale ha deliberato con una sentenza di tre pagine, bocciando le richieste della difesa e convalidando il mandato di estradizione firmato dall’allora Ministro degli Interni Priti Patel nel giugno scorso.
Il fratello di Assange ha commentato definendo il rigetto della Corte come uno “sviluppo serio”, “che lo lascia pericolosamente vicino ora all’estradizione”.
La difesa avrà a disposizione solamente un’ultima opportunità per presentare ricorso presso un tribunale britannico, come ha comunicato la moglie, Stella Assange, affermando che Julian avrebbe presentato presto una nuova domanda all’Alta Corte entro la prossima settimana.
I legali, infatti, avranno a disposizione solamente cinque giorni per depositare un ricorso complessivo di venti pagine che sarà oggetto di studio e di dibattito presso una giuria composta da due giudici, all’interno di un’udienza pubblica.
La difesa sostiene che Patel, ex Ministro, abbia commesso un grave errore procedurale nella sua decisione di approvare l’ordine di estradizione negli USA, violando il trattato in materia USA-UK.
Infatti, il testo afferma che “l’estradizione non deve essere concessa se il reato per il quale è stata chiesta l’estradizione è un reato politico o non specificato”.
Secondo il ricorso, Julian Assange verrà processato esclusivamente per le sue opinioni politiche e per il suo attivismo nel campo del giornalismo d’inchiesta.
Tale richiesta viola apertamente il trattato di estradizione tra Londra e Washington nonché il diritto internazionale perché strettamente incentrata su motivi di natura politica.
Assange verrebbe estradato e processato senza che il suo diritto di libertà di espressione venisse tutelato, violando in tal caso la Costituzione stessa degli Stati Uniti per come previsto dagli articoli 1 e 14 della Carta.

La richiesta di estradizione, sostiene la difesa, è un abuso di processo, ritenendo inoltre che il governo degli States abbia sistematicamente travisato i fatti fondamentali del caso ai tribunale britannici.
Il padre del fondatore di WikiLeaks, John Shipton, ha definito i motivi d’appello del figlio come “giusti, fermi e chiari.”
Ha detto che “la famiglia guarda inorridita, e tutte le persone di mentalità imparziali in tutto il mondo guardano con profonda inquietudine e allarme”.
Nonostante ciò la famiglia resta compatta e fiduciosa, “ottimista sul fatto che prevarremo e che Julian non sarà estradato negli Stati Uniti dove dovrà affrontare accuse che potrebbero fargli passare il resto della sua vita in una prigione di massima sicurezza per aver pubblicato informazioni vere che hanno rivelato crimini di guerra commessi dal governo degli Stati Uniti.”
Con un’intervista a The Guardian, il fratello di Assange ha dichiarato che il governo australiano dovrebbe impegnarsi maggiormente, con più vigore e tenacia, per il rilascio di Julian.

Rebecca Vincent, direttrice delle campagne con Reporters Sans Frontieres ha detto che RSF era profondamente preoccupata per la sentenza dell’Alta Corte
“È assurdo che un singolo giudice possa emettere una decisione di tre pagine che potrebbe portare Julian Assange in prigione per il resto della sua vita e avere un impatto permanente sul clima per il giornalismo in tutto il mondo.

“Il peso storico di ciò che accadrà dopo non può essere sopravvalutato; è tempo di porre fine a questo incessante bersaglio di Assange e agire invece per proteggere il giornalismo e la libertà di stampa. Il nostro appello al presidente Biden è ora più urgente che mai: abbandonare queste accuse, chiudere il caso contro Assange e consentire il suo rilascio senza ulteriori ritardi”.
Julian Assange è ancora detenuto nella prigione di Belrmash, a Londra, in regime di massima sicurezza da oltre quattro anni.

Incriminato per diciotto capi d’imputazione, inerenti alla pubblicazione di documenti comprovanti gravi crimini di guerra commessi dal governo e dall’esercito americano, il giornalista australiano rischia complessivamente una condanna detentiva a 175 anni di carcere.

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