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IL BARDO DI DASHA/БАРД ДАШИ: LA GRANDE EREDITÀ DI UNA PICCOLA VITA

Innanzitutto, è stato pubblicato il toccante diario personale: un vero e proprio romanzo moderno nel genere dei post dei social network, con una complessa gamma di pensieri, esperienze, drammi esistenziali, rivelazioni, commenti ironici, veri e propri studi letterari di uno spettro sorprendentemente ampio: dagli ingenui problemi di una giovane ragazza alle alte e vertiginose rivelazioni metafisiche. Un vero e proprio scenario delle fasi di formazione di un’anima femminile profonda e sublime. L’ultima nota, scritta il giorno della sua morte, nessuno ha potuto leggerla senza piangere. È dedicata a come Dostoevskij capì le profondità del cuore russo. L’ultima cosa a cui Dasha pensava era il popolo russo, è quello che amava veramente, totalmente, infinitamente.

Il secondo libro, Ottimismo escatologico, contiene gli scritti filosofici di Daria Dugina. Lavori di corso, abbozzi di tesi, articoli scientifici, stampe di conferenze e interviste, riuniti insieme, rivelano l’immagine di una filosofa tradizionalista a tutti gli effetti, una specialista del platonismo. Allo stesso tempo, il platonismo non era solo un oggetto di studio per Daria, ma una fonte di profonda ispirazione. Vide, anzi scoprì da sola, che il tradizionalismo che le era stato inculcato fin dall’infanzia – Guénon, Evola, la mistica ortodossa – nella sua struttura corrispondeva molto da vicino agli insegnamenti di Platone e dei suoi seguaci, i neoplatonici. Il platonismo è un tradizionalismo che afferma senza compromessi la sovranità radicale dello spirito sulla materia, dell’eternità sul tempo, di Dio sulla creazione. Partendo dalle opere di Dionigi l’Areopagita, dal quale Dasha è stata inizialmente attratta dall’idea di un’interpretazione apofatica della Divinità, ha presto scoperto Proclo e l’intera linea neoplatonica fino al suo capostipite, Plotino e, da lì, attraverso i medi platonici, tutto porta a Platone stesso.

C’è stato un episodio in cui Daria, da studentessa, durante un evento stava parlando con un anziano scrittore e filosofo, Yuri Mamleev, nostro amico, idolo e maestro di lunga data. Lui le chiese: “Tu, Dasha, cosa fai?”. Devo dire che Dasha è sempre sembrata molto giovane, e fino a poco tempo fa le veniva chiesto il passaporto quando comprava alcolici. Niente da dire sui primi anni di università: sembrava proprio una bambina. Ecco che la bambina, per nulla imbarazzata, risponde al famoso scrittore con allegria e sicurezza: “Ciò che mi interessa di più è la teologia apofatica e il concetto di ἐπέκεινα τῆς οὐσίας”. L’espressione di Mamleev era piuttosto sconcertata, come se si trovasse nelle pagine dei suoi stessi scritti paradossali. Il tema dell’apofatico “abisso di sopra e dell’altrettanto incommensurabile e innominabile “abisso di sotto” era sempre stato per lui un mistero incomprensibile, un’incognita, una ricerca attorno alla quale si annodavano e si risolvevano le trame dei suoi racconti e romanzi, nascevano e morivano i suoi eroi. E all’improvviso, la giovane creatura, senza un minimo di esitazione, teorizza l’apofatismo e l’indicibile! Da allora Mamleyev amava e rispettava Dasha.

Oltre al neoplatonismo, Darya si avvicinò ai fondamenti di una filosofia indipendente, che chiamò “ottimismo escatologico”. Ad essa attribuiva i suoi autori preferiti: Julius Evola, Ernst Jünger, Emil Cioran, Lucian Blaga. Si tratta di un approccio peculiare al mondo moderno, che viene vissuto come crisi, decadenza, degenerazione, un incubo continuo e impenetrabile. È questo che diventa il mondo dopo la perdita del sacro. Un mondo senza Tradizione. E sebbene questo mondo sia esattamente così e per certi versi senza speranza, incorreggibile, privo di speranza di correzione, una persona fedele alla Tradizione non si arrende. Fa l’impossibile, va controcorrente – contro il corso stesso, apparentemente oggettivo, della storia, contro la società, la cultura, l’economia, la politica, lo spettacolo, la vita quotidiana.

E sebbene si tratti di un percorso destinato a fallire (la modernità, ahimè, è più forte), colui che riesce a percorrere la strada dell'”ottimismo escatologico” diventa un vero eroe, l’ultimo guardiano della frontiera, un uomo di frontiera, fedele alla Luce, anche quando è abbandonato e dimenticato in un territorio che nessuno difende tranne lui, contiguo al buio totale che sta arrivando.
Così facendo, Daria ha anche gettato un occhio coraggioso nelle profondità del nichilismo del mondo moderno. Ha lasciato note perspicaci e sottili sulla filosofia postmoderna (in primo luogo su Deleuze, che ha particolarmente sottolineato) e su alcuni autori già puramente infernali della cerchia dei filosofi dell’ontologia orientata agli oggetti (Nick Land, Reza Negarestani, ecc.).
 
I tradizionalisti vedono nel mondo moderno la civiltà della Grande Parodia, cioè il regno dell’Anticristo. I postmodernisti e i realisti speculativi, con il loro palese satanismo filosofico, sembrano illustrare vividamente questa tesi. La modernità, per quanto oscura, non deve essere solo scartata, ma prima di tutto compresa. Anche questo fa parte del programma dell'”ottimismo escatologico”.

(https://t.me/ilbardodidasha)

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