L'Italia Mensile

Evita, “madonna dei descamisados”

Prima attrice, poi compagna politica e di vita del presidente argentino Juan Domingo Perón, riesce a costruire un ponte tra la politica e il popolo, di cui si farà portavoce per affermarne diritti e dignità

Lidia Gallanti

«Anche se lascio lungo il cammino brandelli di vita, so che voi raccoglierete il mio nome e lo alzerete come bandiera della vittoria».

Il 17 ottobre 1951 plaza de Mayo è gremita di persone.
Dal balcone della casa Rosada, palazzo del governo argentino a Buenos Aires, Eva Perón si rivolge ai «cari descamisados», al suo popolo. 

È il sesto anniversario del “giorno della lealtà” al presidente Juan Domingo Perón e del movimento che per quasi quarant’anni ha caratterizzato il governo dell’Argentina. Sebbene porti il nome dell’ex generale, il “peronismo” deve il proprio successo alla donna che sta al suo fianco, mai un passo indietro.

Considerata una delle donne più influenti del XX secolo, “Evita” ‒ così la chiamava il popolo argentino ‒ ha saputo costruire un ponte tra la politica e la gente. 

Le umili origini, la determinazione, il desiderio di giustizia e di cambiamento l’hanno accompagnata in un percorso di rivoluzione sociale che ha profondamente mutato le sorti di un Paese caratterizzato da povertà e instabilità politica.

A settant’anni dalla sua morte rimane l’eredità di una donna fuori dal proprio tempo, forte, innamorata dell’uomo che aveva scelto e della causa che con lui condivise fino alla fine.

Consapevole che la gloria maturata «sarà sempre lo scudo di Perón e la bandiera del mio popolo».

L’indignazione e il riscatto

Maria Eva Ibarguren Duarte nasce il 7 maggio 1919 in una tenuta agricola de Los Toldos, nella pampa argentina. 
È l’ultima di cinque figli, tutti illegittimi. La madre Juana Ibarguren ha una relazione con Juan Duarte, proprietario terriero per cui lavora come cuoca. 

È un uomo sposato e non riconoscerà mai la seconda famiglia, mantenuta solo dal lavoro di sarta che la donna svolge per un negozio di abbigliamento.

Nel 1926 la morte improvvisa di Duarte in un incidente d’auto costringe la piccola Eva ad affrontare la prima grande ingiustizia: la famiglia legittima cerca d’impedire a lei e ai suoi fratelli di partecipare al funerale del padre. 

La rabbia e l’indignazione resteranno con lei per lungo tempo, alimentando la sete di giustizia che più avanti guiderà il suo percorso politico.

Nel 1935 lascia la casa materna a Junin, dove nel frattempo la famiglia si è trasferita, per raggiungere Buenos Aires e tentare la fortuna come attrice.
A soli quindici anni si scontra con un mondo senza scrupoli, in cui campa di espedienti ottenendo ruoli saltuari e marginali. 
Si aggiudica una piccola parte nel film La señora de Perez, a cui nel 1939 seguono altri ingaggi radiofonici per ruoli femminili, che riscuotono un discreto successo. 

Reso ancora più luminoso da una chioma dorata, il suo volto conquista le copertine di alcune riviste.

La sua voce la rende un personaggio pubblico apprezzato, le conoscenze maturate le consentono di entrare a contatto con le sfere più alte del potere argentino.

Al fianco di Perón

Nel 1944 un violento terremoto devasta la città di San Juan.
A Buenos Aires viene organizzato un evento di solidarietà per finanziare la ricostruzione. 
Qui Eva incontra il colonnello Juan Domingo Perón, sottosegretario del ministero del Lavoro, che l’anno prima aveva preso parte al golpe militare contro il presidente Ramón Castillo, sostituito da Pablo Ramirez.

La popolarità della coppia è grande: lei ha ventiquattro anni e lui quarantotto, e sono esponenti di mondi diversi avvicinati dall’interesse per la politica e dal desiderio di risollevare il Paese.

Eva aiuta il colonnello a conquistare l’appoggio della classe proletaria e dei sindacati: per otto anni la sua voce sarà il megafono per i diritti delle donne e dei lavoratori.

La notorietà maturata da Perón attira le antipatie del successivo presidente Edelmiro Julián Farrell, che il 10 ottobre 1945 con un pretesto lo fa arrestare.

La reazione popolare non si fa attendere: il 17 ottobre una fiumana di “descamisados” inonda plaza de Mayo al grido di «viva Perón». 

È uno sciopero di dimensioni colossali, per chiedere a gran voce la liberazione del ministro, che si concretizza pochi giorni più tardi.

Il 22 ottobre nella città di Junin Perón sposa Eva con rito civile.

Grazie al sostegno della moglie, il 4 giugno 1946 è proclamato presidente dell’Argentina, riconfermato poi nel 1951.

La “madonna dei descamisados”

Il primo mandato di Perón trova un’Argentina estremamente povera, caratterizzata da una forte immigrazione proveniente dall’Europa (tra XIV e XX secolo oltre 3 milioni di persone la raggiungono per lavorare come braccianti).
L’industrializzazione spacca ulteriormente la società, riunendo nelle grandi città i lavoratori che costituiranno la classe media, spesso inascoltata e relegata alla povertà.

A loro si rivolge il peronismo, tentando di rispondere al bisogno di sentirsi rappresentati e avvicinarsi a un’idea di democrazia fino ad allora ostaggio di dittature e golpe militari.

È necessario dare un segnale e le riforme non si fanno attendere: nel 1947 il voto viene esteso alle donne e nel 1949 prende corpo il Partito peronista feminino.

Viene introdotta l’istruzione gratuita e la riforma dei contratti di lavoro e delle pensioni, l’indennità di licenziamento, più altre tutele a difesa dei lavoratori.

“Evita” ‒ così viene chiamata ‒ veste come una principessa, ma parla come una sindacalista, mostrando temperamento politico e grande sensibilità.
Nei primi anni di governo promuove politiche sociali e iniziative popolari, inaugura scuole, orfanotrofi, ospedali e case di riposo.

La presenza costante al fianco del marito assicura il favore popolare alla coppia presidenziale: Eva è la “madonna dei descamisados”, e incarna al contempo un modello politico e femminile che sconfina nella venerazione religiosa.

Lo stile franco e diretto la avvicina al popolo, che si rispecchia in quella ragazza di umili origini giunta al potere con la promessa di combattere le diseguaglianze.

«Per questo popolo e per Perón»

Nel 1947 il “viaggio dell’arcobaleno” in Europa consacra la first lady argentina tra i personaggi di spicco internazionale: la prima tappa è Madrid, dove Eva viene accolta dal dittatore Franco e trattata con gli onori di un capo di stato. Lo stesso vale per il Portogallo e per l’Italia: qui la donna incontra l’allora capo di stato Alcide De Gasperi e papa Pio XII, con cui avrà un colloquio privato di venti minuti, com’era concesso alle regine.

In Francia e in Svizzera l’accoglienza è più moderata, a causa di alcune assonanze tra nazismo e peronismo, rimarcate in diverse occasioni.

Nel 1951 Evita affianca Perón nella campagna per la rielezione. 
Il 22 agosto i cittadini di Buenos Aires affollano l’avenida 9 de Julio invocando il nome di Evita: la vogliono vicepresidente.

Il 31 agosto sarà lei stessa a rispondere con un intervento radiofonico, declinando questa possibilità e chiedendo il massimo sostegno per il compagno.
Al timore di oscurarlo o di scontentare militari e conservatori si somma la consapevolezza di avere un tumore all’utero, ormai in stadio avanzato.

Il 17 ottobre 1951, giorno della lealtà, appare in pubblico un’ultima volta. Sul petto porta la medaglia peronista ricevuta dal presidente e marito.

«Lo merito per una sola cosa ‒ afferma ‒ che vale più di tutto l’oro del mondo. Perché tutto quello che ho fatto, l’ho fatto per amore di questo popolo e per Perón».

«Nient’altro che Evita»

L’11 novembre 1951 si tengono le elezioni presidenziali, per la prima volta aperte alle donne. 
Evita vota sdraiata in un letto di ospedale, dopo l’operazione che non riuscirà a fermare il cancro. 

Muore il 26 luglio 1952, a soli trentatré anni.
Il suo corpo rimane esposto per tredici giorni: la fila per renderle omaggio è lunga oltre tre chilometri. Perón sceglie di imbalsamarne le spoglie per collocarle in un mausoleo.
Tuttavia, senza Evita il peronismo ha vita breve: la crisi economica e il conseguente malcontento popolare pongono le basi per un golpe militare che costringe Perón a un esilio di circa vent’anni.

La salma di Evita è un simbolo troppo potente per essere lasciato incustodito: viene trasferita in Italia, dove il 13 maggio 1957 è sepolta a Milano, nel cimitero di Musocco, con il falso nome di Maria Maggi de Magistirs.

Lì riposa per quattordici anni, finché le condizioni politiche e la determinazione di Perón non ne consentono il rimpatrio a Buenos Aires, nel cimitero della Recoleta.

Le sue memorie sono racchiuse nell’autobiografia La razón de mi vida, che sarà il suo testamento politico e morale, anche quando il peronismo perderà presa e sostanza.

«Ho solo un’ambizione personale ‒ diceva Evita in una delle sue ultime apparizioni pubbliche, ‒ che il giorno in cui si scriverà il meraviglioso capitolo che la storia sicuramente dedicherà a Perón, di me si dica questo: c’era, al fianco di Perón, una donna che si era dedicata a trasmettergli le speranze del popolo. Di questa donna si sa soltanto che il popolo la chiamava con amore: Evita».

(https://www.storicang.it/a/evita-madonna-dei-descamisados_15720)

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