L'Italia Mensile

Dell’eroina al Purple Drank, la miscela diventata famosa nella comunità hip hop americana degli anni ’90. In Italia è meglio conosciuta per la sua associazione con la scena trap, che negli ultimi anni l’ha reso sempre più popolare.

Una nuova Operazione Blue Moon?

“Con due gocce d’eroina s’addormentava il cuore”. (Fabrizio De André)

Operazione Blue Moon

“Lo Stato contro il conflitto sociale: dalla creazione della narrazione mediatica all’azione nelle strade, dalle droghe leggere all’eroina”

A prescindere dal nome velatamente romantico, l’Operazione Blue Moon è stata la deliberata e massiccia diffusione dell’eroina in Italia, con sapiente gestione del mercato delle droghe soprattutto da parte del blocco dei servizi segreti occidentali con l’avvallo di molteplici organi istituzionali, in un determinato scenario storico quale era quello degli anni ‘70, caratterizzato da una lunga stagione di conflitti sociali e rivolte popolari.

L’Operazione Blue Moon viene spesso citata, quando lo è, ovvero raramente, con la superficialità (se non proprio a sproposito) ahinoi tipica delle argomentazioni scarne e del confronto approssimativo su quelli che furono i precisi avvenimenti in quell’angolo buio (in quanto poco affrontato) della storia a cavallo del Novecento nostrano, a noi storiograficamente rammentati da una parte come gli anni di piombo e dall’altra come quelli della strategia della tensione, i cui tasselli tendono a sovrapporsi creando segreti là dove non ce ne sono neanche di apparenti, costituendo apparenze là dove invece vige il segreto, desecretando l’ovvietà e infine, d’altra parte, secretando l’opinabilità in una confusione e vacuità generale.

Tendenzialmente, quando si vuol aprire ogni discorso inerente l’Operazione Blue Moon, si fa risalire il tutto a una data ben precisa, ovvero quella della notte del 20 marzo 1970, quando un manipolo di carabinieri del Nucleo Antidroga capeggiato e diretto dal capitano Giancarlo Servolini, irrompeva bruscamente al New Sporting Club, un barcone che ormeggiava lungo il Tevere e quivi trasformato in circolo privato.

Al suo interno gli agenti dichiaravano di aver trovato circa novanta giovani, di cui molti minorenni, ragazzi e ragazze i quali sarebbero stati condotti in massa alla caserma di viale Mazzini e qui interrogati dagli agenti.

Si parlava di giovani intossicati da stupefacenti, in stato confusionale, molti sorpresi in stato soporoso e quindi vicino al coma.

Si proseguiva facendo riferimento al massiccio sequestro di ingenti quantitativi di hashish, eroina, eccitanti vari, siringhe, alcolici alterati e ricettari rubati.

La mattina seguente Il Tempo, quotidiano romano all’epoca per diffusione secondo giornale del Meridione e di una parte del centro Italia, intitolava in prima pagina: “Infame centrale del vizio nel cuore di Roma”.

Tra le righe della cronaca, diretta da Franz D’Asaro poi direttore de Il Secolo d’Italia ovvero l’organo del Msi, si parlava di “casa della droga per minorenni” oltre che di “ricatti, violenze alle ragazze, speculazioni e minacce” tanto da dichiarare infine, come da titolo, che “era purtroppo fondato il nostro grido d’allarme” rispetto al problema dei “ragazzi drogati”.

Trascorrono due giorni e il 22 marzo la questione è ingigantita, si legge infatti tra le colonne della cronaca: “Adescavano i ragazzi nei pressi delle scuole”.

Nel mentre il Nucleo Antidroga dichiarava di aver bisogno di dieci giorni per concludere le indagini in quanto, come precisato dall’onnipresente Il Tempo, “devono” soltanto “documentare le loro certezze, devono confortare con prove l’evidenza”.

La campagna del quotidiano romano si intensifica al punto in cui altri giornali della galassia della destra italiana, sia estrema che moderata, si uniscono al coro.

In soli sei mesi dallo scandalo del barcone escono sui giornali nazionali oltre diecimila articoli sulla droga, ovvero un quantitativo pari al totale degli articoli usciti, sul medesimo argomento, nell’arco dei sette anni precedenti.

Ad aprile lo scandalo veniva esteso sino a una surreale fantapolitica e, raccogliendo due piccioni con una fava, Il Tempo accusava gli ambienti all’estrema sinistra del Pci di essere i soli protettori e mandanti del dilagare del fenomeno delle droghe in Italia, arrivando addirittura a compilare titoli surreali come “La droga è un’arma politica e militare in mano al comunismo” del 7 aprile, oppure “Sul petto Mao, nelle vene la droga” del 22 aprile.

E mentre i giornali parlavano dei circa 1.100 iscritti al circolo galleggiante, portando Il Tempo ad allarmarsi (e soprattutto ad allarmare) scrivendo a sproposito di “2.000 giovani” che “si drogavano sul barcone”, il pubblico ministero Franco Marrone concludeva le indagini con soli venti arresti, certo non pochi ma decisamente minori rispetto alle migliaia di unità sparate dalla stampa nei giorni precedenti.

Un anno dopo sarebbero scesi addirittura a nove, ridotti drasticamente di numero dal giudice istruttore Squillante, sino alla conclusione del processo il 26 aprile 1972, a Roma, con cinque assoluzioni e quattro condanne.

Se a livello giuridico la questione era stata finalmente attenuata dandone una valutazione ben diversa da quella millantata per due anni dai giornali, altra cosa sarà invece l’opinione pubblica, socialmente e culturalmente satura degli indirizzi e degli insegnamenti dati dai quotidiani.

Eppure è lecito chiedersi se, a livello di precisa datazione temporale, quello del barcone possa essere preso effettivamente come preludio dell’operazione sotto copertura e della strategia in questione.

Non è infatti certo che l’Operazione Blue Moon fosse già organicamente e formalmente cominciata.

Suddividere la storia in pre e post barcone viene decisamente in nostro favore e io stesso tendo a ripartirla semplicisticamente in questo modo ma, nonostante esso segni una irreversibile svolta, tale fatto non può innalzarsi ad avvio puntuale e preciso dell’Operazione Blue Moon, per quanto ne sgombri innegabilmente il percorso da diversi ostacoli e intralci in vista della sua propria messa in opera.

I fatti del barcone hanno comunque e innegabilmente messo in gioco una serie di ingranaggi che, se non facevano pensare a una cospirazione ben organizzata, facevano comunque intuire il sipario di una macchinazione mai vista prima e le cui finalità sarebbero parse chiare solo negli anni a seguire.

Una cosa però è certa. L’effetto del barcone e la narrazione dei giornali non influenzeranno soltanto l’opinione pubblica (con la ridicola, ma sempre più diffusa, psicosi verso il capellone) ma anche, e soprattutto, la burocrazia statale e le forze di polizia nelle retate e nelle operazioni di repressione nel periodo successivo, in una escalation tutt’altro che giustificata e per di più indirizzata esclusivamente al solo mondo delle così dette sostanze leggere, discorso che riaffronteremo a breve.

Ma con ferma convinzione si può benissimo precisare l’evidente reciprocità dell’influenza: furono infatti gli stessi carabinieri a dichiarare ai giornali lo scenario che si trovarono di fronte nel brusco ingresso al New Sporting Club ma, soltanto tre anni dopo e attraverso un dossier di controinformazione, l’opinione pubblica, o almeno quella interessata a non tapparsi le orecchie e gli occhi, venne a conoscenza della costituzione e costruzione di un castello di carta in verità neanche troppo fortificato e ora destinato a crollare, per lo meno nelle sue proprie fondamenta: quella fatidica notte l’unica sostanza trovata, buttata in un cestino, fu mezzo grammo di hashish, così come dei novanta fermati “nessun giovane fu” in verità “incriminato perché agli esami medici nessuno risultò aver consumato stupefacenti”.

La questione era stata definitivamente ridimensionata ma decisamente tardi rispetto ai suoi avvenimenti e alle sue involuzioni e, per di più, senza la giusta diffusione della verità.

Già con lo psichiatra Luigi Cancrini, all’epoca medico presso il Centro Tossicosi da Stupefacenti e da Farmaci Psicoattivi dell’Università di Roma e assieme a Guido Blumir sicuramente in quegli anni uno dei maggiori esperti del fenomeno, in un libro da lui curato si può leggere un intero capitolo dedicato alla controversa questione della stampa.

Per meglio comprendere nel dettaglio ciò che fu l’Operazione Blue Moon è per noi essenziale tenere conto dell’unico testimone diretto, o almeno l’unico che si è palesato, di quella discussione a tavolino che portò all’ipotesi della messa in pratica di questo piano complesso, l’unico che ha ammesso per primo di aver udito le apparentemente soavi e romantiche parole Blue Moon e l’unico che ne ha compreso la portata assistendo personalmente a una riunione fondamentale nella ricostruzione di questa cupa storia. Roberto Cavallaro.

Egli, il quale ricoprì prima incarichi sindacali all’interno del Cisl nella Federchimici per poi divenire segretario provinciale del Cisnal, sindacato corporativista strettamente legato al Msi, venne avvicinato da persone le quali, attraverso quelli che lui stesso riconobbe come dei palesi nomi di copertura, si manifestarono a lui come appartenenti del Sid invitandolo dunque a far parte, come collaboratore civile, di una struttura da loro definita precisamente come un ufficio impegnato nel compito della sicurezza dello Stato con ogni mezzo necessario, come avrebbe capito poi lo stesso Cavallaro dopo aver accettato e aver iniziato questo percorso.

Quando egli parla di questo organo ci tiene a definirlo come “una struttura legittima che operava come organismo dello Stato” e di cui, in quanto tale, ne faceva pienamente parte, “seppur” essa agiva “con una autonomia e un’indipendenza del tutto particolare”, per cui a riguardo non si è mai tirato indietro o posto problemi nel semplificare sin da subito questa struttura nella “definizione di Sid parallelo” (qualcuno avanzerà persino la dicitura di “superSid”) e questo perché “tornava difficile identificarlo con gli uffici normali”.

Eppure questo parallelismo, o in altri casi qualcuno preferisce parlare in piena regola di devianza per rimarcare una sostanziale differenza tra gli organi ufficiali e quelli sotterranei, tende troppo spesso in una eccessiva e ingiustificata assoluzione di uno Stato il quale, in tutto e per tutto e a prescindere dalle sue ripartizioni, era ben consapevole di ciò che succedeva nei suoi propri uffici.
Insomma, non esistevano servizi deviati, ma superservizi con più autonomia, ben controllati dai vertici dello Stato.

Cavallaro, arrestato la prima volta nel giugno del 1973 e infine nel novembre dello stesso anno nel contesto delle indagini sulla Rosa dei Venti, rimane in silenzio per cento giorni, in attesa “che qualche cosa si verificasse, nel senso che ci fosse da parte dello Stato una risposta al fatto che ogni mia attività era sostanzialmente riconducibile a un’attività di Stato”, ma dal momento in cui “questo non è avvenuto” Cavallaro inizia a meditare se parlare o meno, per poi decidere di accettare ed essere quindi interrogato la prima volta per undici ore.

Ma è durante la sua testimonianza al processo per la strage di Brescia, nel gennaio 2010, che gli venne venne chiesto se avesse mai sentito parlare dell’Operazione Blue Moon, e Cavallaro annuisce e risponde: “Blue Moon è un’operazione che era stata teorizzata e verosimilmente messa in pratica, almeno, che era quella promossa dagli americani proprio in questo senso, tesa a ridurre la soglia della eventuale resistenza attraverso l’ingresso programmato delle sostanze stupefacenti”.

Non solo, egli ci concede anche un momento storico, ovvero la fine del 1972 e l’inizio del 1973 circa, e un luogo, una località segreta sui monti Vosgi, in Francia, nella regione dell’Alsazia al confine con la Germania, in una struttura in cui fu richiamato per una sorta di momento formativo e breve addestramento teorico assieme ad altre personalità europee come per esempio dalla Spagna, dalla Grecia e, con suo grande stupore, dalla Polonia.

Tra i presenti Cavallaro ricorda che gli addestratori (per pura intuizione visto il loro perfetto accento) fossero quasi sicuramente francesi, probabilmente degli ex OAS, una organizzazione paramilitare clandestina francese attiva già dal 1961; ma tra tutti ricorda almeno un individuo che gli si presentò come appartenente, seppur senza puntualizzare se militare o civile, all’Aginter Presse in Portogallo e questa precisazione, seppur apparentemente inconsistente, gioca in realtà un ruolo fondamentale nel susseguirsi della nostra storia.

L’Aginter Presse venne formata a Lisbona nel settembre del 1966 come organizzazione parallela del PIDE (la polizia politica del regime portoghese tra il 1945 e il 1969) seppur esteriormente presentata e conosciuta come un’agenzia di stampa internazionale, funzione di palese copertura e facciata.

Essa, tramite supporto economico, logistico, di preparazione e d’addestramento, raccoglieva a sé il compito di adempiere e portare avanti nell’Occidente europeo una sedicente guerra non ortodossa e guerra psicologica in funzione filoatlantista.

In quest’ampio riquadro, e per conto degli Stati Uniti, avrebbe preso in mano le redini di quella che, nelle giornate sui Vosgi, fu proposta come Operazione Blue Moon (secondo Cavallaro fu condotta dalla CIA, per Vincenzo Vinciguerra, ex terrorista nero, invece l’Aginter Presse è stata una struttura appartenente all’organizzazione della Nato e agente solo ed esclusivamente per essa, non per altri organi) la quale, come ricordato da Cavallaro, fu pensata per “promuovere la diffusione delle sostanze stupefacenti” immaginando come tale modus operandi “avrebbe abbattuto la soglia di eventuale ribellione nei giovani”.

Cavallaro intuisce dal modo in cui vengono avanzate quelle proposte che qualcosa è già partito, qualcosa è già stato realizzato e ne parlerà persino in un documentario di Rai Storia a cura di Giovanni Minoli a cui si rimanda.

Arriviamo dunque al preludio e al proemio del tutto, ricostruito in seguito alla decisione dell’allora presidente degli Stati Uniti d’America Bill Clinton di desecretare e declassificare oltre un milione di documenti dell’amministrazione statunitense dalla quale emerse il nome in codice di Operazione CHAOS, un programma articolato su più operazioni e progetti tra cui la capillare infiltrazione di agenti nei movimenti di contestazione giovanili e, soprattutto, nei movimenti antimilitaristi (si era all’ora nel pieno del dissenso rispetto al conflitto in Vietnam) dal 1967 al 1974, infiltrazione che ha adombrato il sospetto di una possibile diffusione di sostanze psicotrope con una maggiore concentrazione, tiratura e programmazione del traffico di Lsd, e lo stesso sospetto si unirà anche nell’ambito dell’Operazione COINTELPRO (acronimo di Counter Intelligence Program) con l’infiltrazione e il controspionaggio tra le fila dell’organizzazione rivoluzionaria nota come Black Panther Party e nella diffusione di eroina e crack nei ghetti afroamericani.

La questione statunitense meriterebbe un articolo a parte ma il contesto, al di fuori delle dichiarazioni di Cavallaro della Blue Moon come operazione “promossa dagli americani”, ci cede alcuni aneddoti e personaggi caratteristici che è impossibile ignorare e a cui ora dedicheremo alcune righe prima delle dovute conclusioni.

Il primo fatto emblematico che potrebbe essere menzionato è sicuramente quello, seppur non ben delineato e lucido, dell’ex agente dello SDECE (Service de Documentation Extérieure et de Contre-Espionage), il servizio di sicurezza francese, Roger de Louette il quale, nel novembre del 1971, fu fermato negli States intento a portare in New Jersey ben 44 chili di eroina per un valore di 12 milioni di dollari e qui venire condannato a 5 anni pur continuando egli ad asserire di aver fatto tutto per ordini e per conto del servizio segreto francese ma senza saperne le motivazioni.

Una storia come questa può far pensare a una vicenda internazionale ben più complessa di quel che sembra, ma di certo non può passare a capo chino senza prima essere menzionata vista soprattutto la sostanza in gioco e per di più in quel preciso momento storico il quale, come abbiamo visto, non può che destare forti perplessità.

Decisamente meno dubbi suscita invece la figura di Ronald Stark seppur in sé innegabilmente enigmatico. La più datata testimonianza su di lui è quella che lo scienziato Tim Scully riporta in un’intervista al giornalista Martin A. Lee (14), incentrata sulla Brotherhood of eternal love, una organizzazione hippie e filo-psichedelica sorta vicino Los Angeles nel 1966.

Stark vi aderiva dal 1969 dopo che William Mellon Hitchcock, emissario di Stark il quale si presentò come inserito in una grossa operazione francese di partite di Lsd, combinava un incontro con i vertici dell’organizzazione. Secondo Scully, Stark vi si presentava con un chilo di Lsd, vantandosi di parlare correttamente l’italiano, il francese, il tedesco, l’arabo e il cinese, di possedere diverse corporation oltre che legali pronti a celare le reali proprietà della Fratellanza.

Nel 1971 egli apriva a Bruxelles un laboratorio di produzione di Lsd con cui riuscì a operare per due anni sotto la copertura di centro di ricerche biomediche, producendo al suo interno 20 chili di Lsd (50 milioni di dosi) poi diffuse in maggior parte negli States attraverso la Fratellanza.

Quest’ultima, da lì a breve, avrebbe cessato di esistere in seguito alle sempre più asfissianti operazioni del FBI, e l’aiuto chimico di Stark in Francia, tale Richard Kemp, veniva arrestato solo nel 1977 da Scotland Yard, appurando essa che da solo fosse il responsabile della metà della produzione mondiale di Lsd nella metà degli anni ‘70.

Il 15 febbraio del 1975, viene arrestato al Grand Hotel Baglioni di Bologna tale Terence William Abbott poi, attraverso i suoi stessi appunti, rivelatasi falsa identità di un cittadino americano: si tratta di Ronald Stark.

Cosa stava facendo in Italia?
Dagli appunti emergono i suoi impegni concentrati tra Olanda, Belgio e Libano.

Sospettato di traffico di stupefacenti veniva quindi arrestato e, negli anni, trasferito dal carcere di Bologna a quello di Modena prima e Pisa poi, avvicinandosi a brigatisti ed esponenti della lotta armata di sinistra raccogliendo la loro fiducia ma solo per rigirare poi informazioni sul loro conto agli organi istituzionali.

Nonostante dagli USA sul suo capo pendesse una taglia di 250.000 dollari non ne venne mai chiesta l’estradizione.

Anzi, nel periodo carcerario egli continuò a intessere rapporti con autorità diplomatiche e consolari statunitensi, oltre a ricevere ingenti somme di denaro da tale Sig. Schranzer per tramite della Manifatures Hanover Trust Company di Fort Lee, conosciuta come sede di articolazione della CIA, cui comunque si impegnerà sempre di smentire tutte le affermazioni di Stark in riferimento ai suoi lavori per la stessa. Rilasciato l’11 aprile 1979 con l’obbligo di dimora a Firenze e l’ordine di recarsi dai carabinieri a far rapporto due volte a settimana su ordine del giudice Floridia, riusciva invece a far perdere le sue tracce dopo poco tempo.

Il 17 maggio 1979 il tribunale di Bologna spiccava un nuovo mandato di cattura ma Stark era ormai definitivamente irreperibile.

Questi fitti lineamenti portano a sospettare Ronald Stark come il regista incaricato di mettere in atto l’Operazione Blue Moon in Italia.

Un altro degli aneddoti, questa volta ben più preciso, riguarda sicuramente un curioso pamphlet che, nel 1973, veniva distribuito dall’ambasciata statunitense ai turisti americani in visita a Roma, ove si invitavano i propri connazionali a non accettare pastiglie e sostanze stupefacenti regalate dagli italiani in quanto distribuite e diffuse in realtà da agenti sotto copertura o spacciatori in piena connivenza col Nucleo Antidroga (16), infatti “i giovani americani non sanno che in Italia gli spacciatori di droga sono anche spie del Nucleo Antidroga e vengono ricompensati in cambio di informazioni dettagliate sugli acquirenti-consumatori”.

Lo scandalo è inevitabile, tanto che il capitano Servolini è improvvisamente trasferito.
È questo un momento ben preciso in cui in Italia le azioni repressive contro i consumatori di marjuana e hashish sono sempre più plateali: essi vengono infatti violentemente repressi in una lunga parabola che va dai mille arresti nel 1970 sino ai duemila arresti del 1974.

Le sostanze leggere risultano irreperibili, i prezzi divengono sempre più alti e la qualità decisamente scadente, tanto da confermare nel mercato nostrano le anfetamine e la prima arte del consumo ‘bucomane’; questo almeno sino al 17 maggio 1972 quando l’allora ministro della Sanità del governo Andreotti, ovvero il democristiano Athos Valsecchi, inserisce nell’elenco degli stupefacenti illeciti e illegali proprio le anfetamine, seppur 34 anni in ritardo rispetto ad altri Paesi occidentali e dopo venti accesi anni di polemiche da parte delle Nazioni Unite.

La legge è provvidenziale e arriva nel preciso momento di massima diffusione della sostanza tanto che il lancio pubblicitario e giornalistico sarà più che notevole e ben esteso.

A questo punto arriva nei mercati romani la morfina, siamo nell’autunno del 1972, i prezzi sono accessibili, anzi, diremo proprio bassi, mentre la qualità è altissima.

Diventerà introvabile a partire dall’inverno del 1973-1974 segnando il battesimo di fuoco dell’eroina e i primi strascichi della sua propria diffusione di massa.

A Roma, nel 1970, non esisteva alcun eroinomane.

A partire dal 1975 erano a migliaia.

L’unica azione di repressione poliziesca condotta contro il traffico di eroina sarà quella della Squadra Mobile di Roma coordinata dal commissario Ennio Di Francesco il quale avrebbe portato a un sequestro significativo della sostanza proprio nel 1975, una partita di circa 2 chilogrammi.

Gli veniva immediatamente revocata l’indagine per poi essere allontanato dalla Squadra Mobile e, infine, inspiegabilmente trasferito.

A questo punto si tende sempre a ricercare un responsabile unico ma così facendo si rischia anche di sminuire la portata complessiva della cosa, decisamente più contorta e macchinosa.

Ci sarà chi parlerà dell’Operazione Blue Moon come il traffico d’eroina condotto da malavitosi aiutati dai servizi (vedi Cosa Nostra e Banda della Magliana).

Chi si riferirà a essa come realizzata dallo Stato e dai suoi organi istituzionali, e a ragione.

Chi la racconterà invece come ordita e organizzata dalla CIA, e a ragione, e chi dalla Nato, anche loro a ragione.

E infine, nella fusione non casuale ma anzi coerente di queste piste, ci sarà anche chi pretenderà di inserire nell’elenco delle vittime della strategia della tensione anche le decine e decine di migliaia di individualità le quali, direttamente o indirettamente, in quegli anni soccombettero sotto i colpi dell’eroina, di cui ancora oggi subiamo le conseguenze.

Volete dargli torto?

Ieri come oggi lo schema è sempre lo stesso: potere contro popolo.

Un popolo che viene diviso con destre e sinistre, quando le stesse agiscono per conto del regime.

Le destre occupano lo spazio militare, le sinistre quelle culturali.
Entrambi al servizio del potere.

Oggi come ieri, con l’offensiva del Great Reset, nuovi conflitti e la possibilità del nascere di una resistenza e di un fronte popolare di liberazione ecco che la tirannia globalista aggredisce la nostra gioventù, oggi ancor più debole di quella di mezzo secolo fa, perché senza famiglie, senza Dio, senza nessun apporto e supporto comunitario ed identitario.

Ecco quindi un “nuovo 68”, fatto di rapper, trapper e boiate simili e l’arrivo di nuove droghe…

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