L'Italia Mensile

Anni ’90, veramente bisogna mitizzarli?

Lillo Provenzano Turri

L’opinione pubblica dominante è concorde nell’affermare che gli anni 70’ siano stati “anni bui” ribattezzati come “anni di piombo” per via che vi era una guerra civile a bassa intensità tra i gruppi della sinistra extraparlamentare e i gruppi neofascisti e militanti del MSI, così come tra organizzazioni armate di estrema sinistra come Prima Linea, NAP e soprattutto le Brigate Rosse, contro lo stato italiano, mentre è altrettanto concorde nell’esaltare gli anni 80’, ma soprattutto gli anni 90’.

Su quest’ultimi vi è un assoluto mito, derivato dai ricordi positivi presso la maggioranza di un decennio di benessere diffuso, di come siano stati il decennio migliore in assoluto della storia italiana e in generale d’Occidente, dove si viveva un benessere mai vissuto in precedenza e destinato a non finire mai, frutto di un’assoluta fiducia verso il futuro, frutto di una consapevolezza su come il capitalismo, e precisamente il modello neoliberista, siano il massimo stadio dello sviluppo umano.
In realtà gli anni Novanta il sottoscritto li ricorda come il peggior decennio in assoluto, e non ho vissuto bene nemmeno nei valori degli anni 80’, ma in parte vi era ancora un po’ lo spirito degli anni 70’, e soprattutto vi era ancora la vecchia politica dei partiti di massa come PCI-DC-PSI, anche se il PCI stava ultimando il suo processo di degenerazione antropologica che poi si concretizzerà nel PDS (e successivamente DS e PD) così come il PSI di Craxi divenne il “Taxi della borghesia italiana”, il “partito di Nani e Ballerine” in poche parole l’antenato di Forza Italia, della vita politica in sezione e delle organizzazioni di sinistra extraparlamentare.

Ma gli anni novanta sono stati la sublimazione e l’affermazione totalitaria di valori come individualismo più sfrenato, concorrenza, rampantismo, edonismo di marca reaganiana e culto dell’immagine già affermatasi negli anni Ottanta, un esempio nella moda,
negli anni settanta si era arrivati allo slippino e al nudismo nelle spiagge, che non erano altro che una delle tante espressioni dell’ideologia libertina dominante in quel decennio, gli anni ottanta-novanta hanno visto un ritorno del pantaloncino derivato dal successo delle serie televisive statunitensi, Baywatch su tutti.

Ma gli anni novanta non hanno visto solo l’affermarsi di questi valori o meglio disvalori, ma anche di politiche all’insegna del neoliberismo più selvaggio, con la svendita e privatizzazione delle aziende statali e delle partecipate di Stato (la soppressione del Ministero delle Partecipate Statali è emblematica) che venivano viste dall’opinione pubblica come la “soluzione di tutti i mali”, la “fine di ogni male”, della “corruzione della politica” frutto del moralismo imperante e giustizialista nato con Tangentopoli, delle prime leggi di precarizzazione del lavoro come il Pacchetto Treu, dell’ esternalizzazione di servizi di pulizia nella sanità e nella scuola (per poter far mangiare imprese e cooperative “rosse” in realtà rosa vicine o gestite direttamente da CGIL-CISL-UIL vicine ai gruppi dirigenti del PDS) politiche perseguite dal centrosinistra di Prodi e D’Alema. Anni dove la vecchia politica dei “Partiti di Massa” scomparsi con Tangentopoli e con il sopraccitato scioglimento del PCI e la sua trasformazione in PDS fu sostituita dalla politica basata sul “partito leggero”, sul culto dell’immagine rassicurante e presentabile e non sui contenuti, sulla fine delle ideologie e la sua sostituzione con una politica post-ideologica, dove a contribuire in questa degenerazione culturale-politica è stato Silvio Berlusconi, imprenditore a capo di Mediaset, la principale rete televisiva privata che aveva ottenuto il diritto di trasmettere in televisione grazie a Craxi nel 1985 e che non a caso era molto vicino a quel partito di “nani e ballerine” quali era il PSI craxiano. Mediaset che attraverso serie televisive, “soap opera” come Beautiful, Dallas, programmi come Uomini e Donne, Grande Fratello e Amici ha contribuito alla trasformazione antropologica della maggioranza degli italiani che era funzionale al contesto socio-economico neoliberista al fine di “addomesticare” gli italiani e evitando un’ opposizione “di massa” stile piazze anni Settanta alle politiche neoliberiste.

E’ pur vero che Rifondazione Comunista aveva l’ 8 % e aveva oltre 100.000 iscritti tra cui il sottoscritto, che le piazze erano piene ancora di studenti e vi erano partecipate manifestazioni dei lavoratori, ma tali mobilitazioni, oltre a essere meno partecipate in confronto a quelle degli anni settanta, erano anche diverse perché erano mobilitazioni di “difesa” della trincea, non erano mobilitazioni che rincorrevano un assalto al cielo e soprattutto non erano egemoni a livello sociale. Erano mobilitazioni di una generazione, quella dei militanti anni 90’ che non erano per finalità strategiche, inesistenti, ma più che altro per la possibilità di lottare organizzati, affidandosi cioè alla tattica, riflesso di una generazione ignara della storia economico-politica della Prima Repubblica, perché ne ha vissuto la fine senza aver avuto la possibilità di viverla. Inoltre Rifondazione non fu in grado di cogliere la trasformazione neoliberale della società, del mondo del lavoro con la fine dell’egemonia delle fabbriche sostituita dal settore dei servizi, in poche parole come disse Costanzo Preve non fu in grado di rinnovare la cassetta degli attrezzi.

Un limite quello del gruppo dirigente del PRC e anche del PDCI che, unita alla partecipazione nei governi del centrosinistra neoliberale dove invece di condizionare “da sinistra” il governo era un’ “alleanza al ribasso” che abortiva e annacquava le pur nobili rivendicazioni del PRC e PdCi, portarono nel 2008 alla scomparsa dei comunisti dal Parlamento italiano, un’assenza che dura tutt’ora ma dove per un approfondimento servirebbe un altro articolo.

Ma gli anni Novanta al livello di politica internazionale furono gli anni dell’assoluto dominio incontrastato degli Stati Uniti che in quel decennio e almeno fino al 2008 circa recitarono il ruolo di “Poliziotto del Mondo”, derivato dal crollo dell’Unione Sovietica e della fine del mondo suddiviso in due blocchi. Stati Uniti che in quel decennio, senza il principale rivale geopolitico che faceva da argine alle loro mire egemoniche, fecero interventi militari imperialisti su interventi militari.

Basti pensare all’Iraq nel 1991, in Somalia nel 1992-1994, i bombardamenti contro i serbi di Bosnia nel 1994 e i criminali bombardamenti sulla Jugoslavia e su Belgrado nel 1999 con il sostegno del Governo D’Alema, seguiti poi dall’invasione dell’Afghanistan nel 2001, a seguito dell’attentato delle Torri Gemelle, e dell’Iraq nel 2003. Più un embargo totale verso l’Iraq che provocò la morte per fame di circa un milione e mezzo di persone, tra cui cinquecentomila bambini che furono giustificati dalla segretaria di Stato USA Madaleine Albright pur di rovesciare Saddam Hussein e l’irrigidimento dell’embargo su Cuba, con la Legge Helms-Burton che stabiliva che gli Stati Uniti ritiravano tutti i finanziamenti verso le organizzazione internazionali che violavano l’embargo e annullava le importazioni da quei paesi che effettuavano traffici con Cuba nella stessa misura delle importazioni da questi effettuate. Cuba che a causa della fine del principale paese alleato e partner economico aveva portato a una gravissima crisi economica nell’isola caraibica e a un duro periodo di sacrifici noto come “Periodo Speciale”, che doveva servire ad aggravare la situazione socio-economica di Cuba e determinarne così il crollo dello Stato socialista cubano guidato da Fidel Castro, il vero e proprio tarlo degli americani che non tolleravano uno stato socialista a 80 miglia dalle proprie coste. Anni in cui gli Stati Uniti, anche attraverso le multinazionali che sponsorizzavano le Olimpiadi come la Coca Cola, condizionavano il CIO nell’assegnazione dei Giochi Olimpici come accadde nel 1996, Olimpiadi del centenario che invece di esser state assegnate ad Atene (che nel 1896 ospitò la prima edizione delle Olimpiadi moderne) furono assegnate ad Atlanta, città sede della Coca Cola. Olimpiadi del 1996 che erano la vetrina, il simbolo del dominio incontrastato degli Stati Uniti nel mondo, Stati Uniti che avevano ospitato anche i Mondiali di Calcio del 1994 (giocati oltretutto a temperature proibitive).

Olimpiadi del 1996 che se fossero state assegnate ad Atene, la Grecia molto probabilmente non sarebbe entrata nell’euro o meglio l’Unione Europea avrebbe rifiutato l’ingresso della Grecia per via dei “conti pubblici non in regola” e avrebbe evitato le draconiane politiche di austerità avvenute dal 2010 a oggi per “ripianare l’alto debito pubblico” dovuto anche alle Olimpiadi del 2004 che furono ospitate da Atene e con la Grecia già nell’Eurozona. Anni i Novanta dove cambiarono radicalmente il calcio, con il calendario di quest’ultimo basato sulle esigenze delle televisioni private con introduzione degli anticipi del sabato e del posticipo serale della domenica, anticamera poi dell’obbrobrioso calendario spezzatino dei giorni di oggi e dove fu cambiata la formula della Coppa dei Campioni, ribattezzata Champions League, non più riservata alla squadra campione del proprio campionato nazionale ma alle migliori quattro dei più importanti campionati nazionali d’Europa (Italia, Spagna e Inghilterra), con introduzione anche della fase a gironi, per renderla più appetibile alle esigenze delle televisioni private.
Anni novanta dove i proprietari di calcio delle squadre italiane facevano il bello e cattivo tempo, con Berlusconi che acquistava calciatori su calciatori, acquistandoli anche dalle squadre rivali per indebolirle per poi finire che molti (basti pensare a Lentini o a De Napoli non giocavano mai), la Juventus che vinceva la Champions League con le infiltrazioni di EPO (denunciate da Zeman), Moratti che spendeva e sperperava soldi molto spesso anche per veri e propri bidoni e Cragnotti e Tanzi che con i vari giochini di finanza creativa avevano reso Lazio e Parma dei veri e propri squadroni ma sulla pelle degli operai della Cirio e di Parmalat e che portarono al crac delle aziende sopracitate.

Molti oggi si lamentano delle spese folli degli sceicchi del Manchester City o del PSG o del Chelsea prima in mano al russo-israeliano Abramovich e dall’avvento delle sanzioni contro la Russia in mano all’americano Boehly, ma voglio ricordare che quello che fanno gli sceicchi o i ricchissimi proprietari statunitensi oggi, lo facevano i proprietari italiani, che il giustamente contestato calcio moderno nacque negli anni Novanta e non con gli sceicchi. Anni i Novanta che seppellirono l’idea del calcio romantico dove anche il Napoli di Ferlaino poteva acquistare il calciatore più forte del mondo e vincere due scudetti e una Coppa UEFA o che la Sampdoria di Mantovani o l’Hellas Verona (che odio sportivamente) vincevano lo scudetto. Napoli e Sampdoria che in declino economico dovuto alla fine dei rapporti tra politica e Ferlaino e alle grandi spese sostenute da Mantovani per far vincere lo scudetto alla Samp, non a caso finiranno in Serie B alla fine del Decennio.

Il mio Palermo all’epoca navigava, per la verità negli anni Ottanta, nelle torbide acque della Serie C e qualche stagione di Serie B. Ma gli anni Novanta sono stati anni dove a livello socio-culturale si percepiva il concretizzarsi quel “This Is Not Alternative” di thatcheriana memoria, dove davvero il neoliberismo sembrava l’unico orizzonte. Anni dove sembravano sotterrati per sempre nell’oblio della storia
gli ideali di giustizia sociale, socialismo, redistribuzione della ricchezza, lavoro, sicurezza sociale, diritto all’abitare, diritti dei lavoratori dominanti negli anni Settanta, che contrariamente al giudizio negativo dell’opinione pubblica borghese e liberale sono stati i migliori anni in assoluto, anni di lotte, di conquiste, di libertà nei costumi, della nascita del Servizio Sanitario Nazionale, dell’equo canone e della diffusione del lavoro pubblico.

Chi ci credeva ancora come il sottoscritto mentre altri da comunisti o socialisti non hanno fatto altro che cospargere il capo di cenere per la loro gioventù per poi diventare liberali, gli anni novanta sono stati gli anni della “traversata del deserto”. Certo non è che i duemila finora siano stati migliori, però negli anni Novanta davvero si viveva in una società convinta della “La Fine della Storia” come proclamato da Fukuyama a seguito dell’Abbattimento del Muro di Berlino e del crollo dell’Unione Sovietica.

Era dura vivere negli anni di neoliberismo “da bere” imperante, dove quel benessere economico che si viveva rappresentava solo una grande ubriacatura, infatti per questo l’ho ribattezzato neoliberismo da bere, una grande bolla di sapone destinata ad esplodere, come poi esplose negli anni duemila prima con l’entrata dell’Italia nell’euro che ridusse a metà il potere d’acquisto che si aveva fino a quel momento ma soprattutto con la crisi economica del 2008. Quest’ultima che portò alle politiche di austerità draconiane con tagli a scuola, sanità, trasporti pubblici, con salari e stipendi sempre più bassi, con il lavoro precario che è diventato imperante, con disoccupazione ad altissimi livelli soprattutto qui al Sud e un turismo che rappresenta solo un fenomeno “aleatorio” ma che non porta a un reale benessere ma solo a una diffusione massiccia del lavoro a nero nella ristorazione e in generale nel settore del turismo. Come la Prima Guerra Mondiale pose fine alla “Belle Epoque” la crisi economica del 2008 ha posto fine al neoliberismo da “bere” e al suo finto benessere che illuse molti negli anni Novanta.

Oggi nel 2023 viviamo ancora in una oscura epoca di neoliberismo, con un Governo Meloni che, come il Governo Draghi, persegue politiche guerrafondaie e di asservimento più totale agli Stati Uniti con il sostegno al regime nazi-banderista euro-atlantico di Kiev, folli sanzioni economiche contro la Russia che hanno portato il paese a vivere una grave crisi economica e un’alta inflazione, che al contrario di quella degli anni 70’-80 non è un inflazione da domanda ma da aumento del prezzo delle materie prime, mentre salari e stipendi sono fermi al palo, politiche economiche anti-popolari di austerità contro i poveri, vedi abolizione del Reddito di Cittadinanza. Oggi al contrario degli anni Novanta c’è molta disillusione, molti sguardi spenti, nessuna fiducia verso il futuro visto come una incognita se non come una minaccia, un vero e proprio effetto depressione dovuto alla sbornia o all’eccitamento da cocaina che si è avuta per un decennio abbondante. Ma oggi al contrario degli anni Novanta si è consapevoli che si è sempre stati dalla parte giusta della storia, ma la cosa più importante è che oggi vi sono le alternative serie e autorevoli al dominio euro-atlantico di Stati Uniti, Regno Unito e Unione Europea, quali la Russia di Putin e la Cina Popolare, vi sono le esperienze socialiste dei governi latino-americane (Venezuela Bolivariano, Bolivia, Nicaragua di Ortega, Brasile di Lula e PT e Argentina dei Kirchner) e Cuba resta ancora in piedi, nonostante gli Stati Uniti speravano in un rapido crollo negli anni Novanta. Oggi si vive insomma la consapevolezza di ciò che abbiamo sempre saputo, ma che negli anni Novanta quando lo dicevamo eravamo presi per pazzi per “comunisti fuori tempo massimo” oppure fuori dalla storia, ossia che la storia non è finita affatto come profetizzò Fukuyama in quello che è stato il peggior decennio del secondo dopoguerra quali gli anni Novanta, anni di neoliberismo, illusione e pensiero unico.

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