L'Italia Mensile

9 novembre: la caduta del Muro di Berlino. Cosa c’è da festeggiare?

Diego Fusaro

“Come ogni anno, va molto di moda, in questi giorni, celebrare il crollo del Muro di Berlino, salutando come esperienza “liberatoria” quella svolta.

A destra come a sinistra, l’ordine del discorso liberale si è fatto egemonico, ed è cosa ampiamente nota.

In pochi v’è la consapevolezza che quel crollo è stata una sciagura – la più grande del secondo Novecento – e non certo una liberazione.

Nei più manca la consapevolezza della realtà ormai esclusiva di un modo di produrre e di esistere che, magnificandosi come “libertà” senza aggettivi, coesiste con la miseria, lo sfruttamento e la sofferenza dei più.

È tutto fuorché un mistero che, anche caduto il Muro, e nonostante il peana dell’end of history intonato dai cantori dell’eterno ritorno zarathustriano del mercato, il pianeta sia ben lungi dal dirsi consegnato alla libertà e all’emancipazione, come pure vorrebbero farci credere gli araldi del fanatismo del libero mercato.

Le contraddizioni e le asimmetrie prosperano e, come se non bastasse, ipertroficamente crescono le divisioni e, in non rari casi, i nuovi muri.

Sì, il crollo del Muro di Berlino non ha segnato la fine dell’oppressione e dell’ingiustizia, come pure ripetono in coro gli araldi dell’ordine neoliberale.
Ha, semmai, determinato un passo avanti decisivo acciocché si affermi, ovunque, un solo tipo di oppressione e di ingiustizia, quella legata alla forma merce e alle patologie che – dallo sfruttamento del lavoro alla reificazione – reca inscritte nel proprio codice genetico.

D’altro canto, a voler essere rigorosi, la fine dell’esperienza della Germania dell’est coincise con un’annessione assai più che con un’unificazione, dacché, per la prima volta nella storia moderna, uno Stato ne “rilevava” un altro, fagocitandolo e, ça va sans dire, salutando come “liberazione” quell’annessione.

Certo, non è poi difficile mostrare – ed è un tema su cui l’ordine discorsivo liberale insiste ad libitum – come gli abitanti della Germania dell’est fossero controllati, sorvegliati e perfino spiati dal governo: la pellicola Le vite degli altri (2006), di Florian Henckel, ne offre una delle molteplici rappresentazioni.
Con la fine della Germania Est e con l’annessione di cui si diceva, i documenti sono stati acquisiti dal governo della Germania Ovest, che ha fatto sapere al mondo intero le pratiche di sorveglianza e di spionaggio in uso nell’ormai defunto spazio orientale.

Sarebbe, però, interessante sapere se anche gli abitanti della Germania Ovest e, più in generale, dell’Europa “libera”, cioè interna al dominio capitalistico, fossero spiati dai loro governi o magari anche dalla CIA: cosa che, ovviamente, non è dato conoscere, dato che non vi è stata alcuna annessione a parti inverse.

Tuttavia, sappiamo con certezza che, nell’ordine “libero” post-1989, i cittadini sono senza tregua controllati e sorvegliati, soggetti a “riconoscimenti facciali” e a dispositivi di tracciamento che, anche grazie al vertiginoso potenziamento dell’apparato tecnico, fanno irresistibilmente apparire dilettantesche le pratiche di controllo e di spionaggio della defunta Germania Est.

Con una curiosa differenza, però: quelle della Germania Est sono condannate come pratiche totalitarie e dispotiche dall’ordine del discorso neocapitalistico, che invece celebra come spazi di libertà le proprie, infinitamente più invasive e totalitarie. In effetti, già negli anni Novanta, a poco ormai dalla fine del Millennio, prendeva a serpeggiare il sospetto che peggio del mondo tagliato dal Muro potesse esservi solo ciò che è venuto dopo.

La pellicola Good Bye, Lenin! (2003) restituisce la più plastica raffigurazione di questo senso di smarrimento generalizzato e del più tremendo sospetto che, nonostante la morte del socialismo realizzato, le contraddizioni non abbiano affatto cessato di proliferare. E, anzi, abbiano preso a farlo in forme e con intensità anche più mortificanti rispetto a prima”.

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